Una famiglia a soqquadro
Si potrebbe tranquillamente affermare che Sterben, ultima fatica del cineasta tedesco Matthias Glasner, presentata in corsa per l’ambito Orso d’Oro alla 74° edizione del Festival di Berlino, sia, appunto, l’opera più personale del regista. E non soltanto per i chiari rimandi alla sua stessa biografia e alla sua famiglia, ma anche – e soprattutto – perché a visionare tale lungometraggio evidenti sono i segni di un’eccessiva emotività e coinvolgimento personale che hanno fatto sì che, malgrado la chiara ambizione, il presente lavoro possa risultare a tratti decisamente “zoppicante”. Ma andiamo per gradi.
La famiglia Lunies sta per attraversare un periodo di profondi cambiamenti: Lissy (impersonata da Corinna Harfouch) ha da diverso tempo problemi di salute, ma le cose precipitano nel momento in cui suo marito (Hans-Uwe Bauer), affetto da demenza senile, deve essere ricoverato in un istituto. Suo figlio Tom (un ottimo Lars Eidinger, che per questa sua interpretazione potrebbe anche ricevere un importante riconoscimento) è direttore d’orchestra e fa praticamente da padre alla figlia della sua ex, mentre è impegnato, al contempo, alla lavorazione di un’opera composta dal suo amico Bernhard. Infine, Ellen (Lilith Stangenberg), sorella di Tom, vive ad Amburgo, dove lavora come igienista dentale e, dedita all’alcool e agli eccessi, inizia una relazione con un dentista sposato (Ronald Zehrfeld).
Diviso in numerosi capitoli, ognuno dei quali ci dà modo di conoscere più da vicino, di volta in volta, i vari membri della famiglia, Sterben mette in scena un’importante storia famigliare non priva di conflitti e di cose non dette. Ognuno dei Lunies sembra vivere la propria vita, nel bene e nel male, senza intrattenere più rapporti con i propri consanguinei. Eppure, determinati eventi li porteranno inevitabilmente a reincontrarsi, a confrontarsi, a scontrarsi, al fine di trovare una volta per tutte un possibile punto d’incontro.
E così, questo importante lungometraggio di Matthias Glasner mette innanzitutto al primo posto conflitti esteriori e interiori di ognuno dei protagonisti, puntando tutto sull’emotività, ma anche sulla bravura dell’intero cast e su importanti parallelismi tra le storie personali e l’arte, laddove non a caso la composizione a cui sta lavorando Tom si chiama proprio Sterben (morire). Ed è proprio a proposito di tale composizione, dunque, che il regista ci regala i momenti maggiormente d’impatto di tutto il film, con tanto di primi e primissimi piani di Lars Eidinger, che, dirigendo la sua orchestra, sente l’opera a tal punto sua da avere le lacrime agli occhi.
Malgrado, però, momenti di indubbio pathos, malgrado la potenza di determinate scene e il tirare in ballo questioni tutt’altro che facili da analizzare, Sterben, purtroppo, non sempre convince. E lo fa soprattutto quando, perdendo quasi totalmente di vista il filo logico che inizialmente stava seguendo, sembra a un certo punto seguire una direzione tutta sua, assumendo più che altro la forma di un personalissimo flusso di coscienza. Quasi come se lo stesso Matthias Glasner stesse ripercorrendo mentalmente le tappe più importanti della storia della sua famiglia, dimenticando i suoi “doveri” di regista e sceneggiatore. Capita, quando si ha per le mani una storia talmente personale, di incappare in determinati errori. E nonostante ciò, pur non funzionando come dovrebbe, al presente Sterben va comunque riconosciuta una certa genuinità di fondo. Genuinità che, tuttavia, non è sufficiente per un concorso come quello di Berlino.
Marina Pavido