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Supersex

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Foto di Scena, Super Sex - Alessandro Borghi
VOTO: 6

Storia di una leggenda

Uno degli eventi di cui si è maggiormente parlato durante la 74° edizione del Festival di Berlino è indubbiamente la proiezione in anteprima, all’interno della sezione Berlinale Special, della serie prodotta da Netflix Supersex, ispirata alla vita del celebre pornodivo nostrano Rocco Siffredi. Alla Berlinale, dunque, ne sono stati proiettati soltanto i primi tre episodi, diretti da Francesca Manieri, Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni. A cosa saranno riusciti a dar vita tutti questi autori? Premettendo che, forse, tre episodi non sono propriamente sufficienti per poter giudicare un prodotto nella sua interezza, un’idea complessiva della sua riuscita finale ce la si riesce comunque a fare. E già da questi primi tre capitoli, si può facilmente intuire l’approccio scelto per l’occasione.

Rocco Tano (inizialmente impersonato da Marco Fiore), dunque, abita nel piccolo paese di Ortona insieme alla sua numerosa famiglia. Il suo punto di riferimento è il suo fratellastro Tommaso (Francesco Pellegrino), fidanzato con la bella Lucia (Eva Cela) e che gli insegnerà a “diventare grande”. La morte improvvisa di suo fratello Claudio, i continui scontri con alcuni malviventi del posto e, soprattutto, la “scoperta”, quasi casuale, dell’allora celebre fumetto Supersex, che tanta e tanta importanza avrà durante il suo percorso di crescita, sono tutti fattori che hanno segnato per sempre la vita del giovane Rocco.
Supersex, dunque, si concentra molto sui personaggi in sé, sui loro desideri, sulle loro paure, sulle loro fragilità. Stesso discorso vale per gli episodi in cui vediamo un Rocco ormai adulto (impersonato dal poliedrico Alessandro Borghi), recatosi a Parigi – dove suo fratello Tommaso (Adriano Giannini) ormai vive con sua moglie Lucia (Jasmine Trinca) – e che pian piano, in un locale a luci rosse, scopre quel suo “talento nascosto” che lo renderà famoso in tutto il mondo. Anche se l’intera serie sarà disponibile su Netflix solo da marzo, possiamo già facilmente immaginare che gli spettatori saranno numerosi. E, di fatto, indubbiamente un personaggio come Siffredi (qui presente anche in un cameo), da sempre anche molto ironico e autoironico, ispira molta simpatia. Supersex punta proprio su questo, regalandoci un personaggio umano che, nonostante le difficoltà della vita, non ha mai perso di vista i veri valori.
Per quanto riguarda la messa in scena in sé e l’approccio registico adottato, va comunque fatto un discorso a parte. Perfettamente in linea con le produzioni nostrane maggiormente mainstream (e anche con le linee guida dell’ormai potentissimo Netflix), anche il presente Supersex non tenta nuove strade, ma si attiene fedelmente a determinati canoni, affidandosi a immagini super patinate e a frequenti primi e primissimi piani dei protagonisti. Naturalmente, com’è facile aspettarsi, durante il corso della visione non mancano momenti, come si suol dire, trash o involontariamente comici. E ciò non dipende esclusivamente dall’argomento trattato che facilmente può dar adito a ciò, ma anche, talvolta, a una sceneggiatura che “dice troppo”, rischiando di farsi sfuggire la situazione di mano. Ma sta bene. D’altronde, determinate situazioni sono, dato il tema, facilmente prevedibili. E, nel complesso, Supersex, senza infamia e senza lode, riuscirà sicuramente ad appassionare un buon numero di spettatori.

Marina Pavido

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