Il fascino della spia
The Night Manager è il più recente adattamento per il piccolo schermo di un romanzo di John le Carré, apprezzatissimo maestro della spy story. Lo stile dell’autore è notoriamente realistico e profondamente legato agli accadimenti geopolitici del Novecento, pre- e post-guerra fredda, ed ha affascinato innumerevoli lettori e filmmakers. Nei soli anni Duemila sono usciti cinque film ispirati a suoi romanzi (Il sarto di Panama, The Constant Gardener, La talpa – Tinker Tailor Soldier Spy, A Most Wanted Man, Il traditore tipo), mentre era dagli anni Novanta che una rete televisiva non produceva un adattamento di una delle sue opere. Considerato il successo di The Night Manager, e l’evidente adattabilità dello stile di le Carré alla forma della mini-serie, ci possiamo aspettare nuovi progetti del genere per il piccolo schermo. Bisogna ringraziare Hugh Laurie se questo romanzo è stato presentato in una nuova forma agli spettatori del XXI secolo: l’attore alumnus di Cambridge si è infatti personalmente adoperato per acquistare i diritti del romanzo, tanto che il suo nome risulta tra i produttori. Dietro questa sua scelta non c’è stato altro che una sconfinata ammirazione per il libro in questione, e in generale per lo stile di le Carré (anche se la possibilità di interpretare un personaggio di questo adattamento deve aver incoraggiato non poco l’ex-Dr. House). Il romanzo è stato riadattato e ambientato nel nuovo millennio dallo sceneggatore David Farr: il contesto che in le Carré era dato dal mondo come si presentava dopo la caduta del muro di Berlino è stato aggiornato alla primavera araba e alle guerre in Medio-Oriente. L’aspetto produttivo della mini-serie è particolarmente interessante, in quanto è tecnicamente una co-produzione tra l’inglese BBC (che finora era già stata casa di quasi tutti gli adattamenti televisivi da le Carré) e la AMC, rete U.S.A. via cavo che forse molti spettatori italiani non conoscono direttamente ma che è il canale sul quale sono nate serie a dir poco iconiche come Breaking Bad, The Walking Dead e Mad Men.
Il ruolo che Hugh Laurie si è regalato è quello di Richard “Dickie” Roper, rispettato multimilionario impegnato in cause umanitarie, il quale in realtà, dietro la sua fama di benefattore, opera nel traffico d’armi internazionale in maniera spietatamente incurante della vita umana. Roper, carismatico e affascinante villain, addirittura definito nel libro e nella serie come “l’uomo peggiore al mondo”, è il centro attorno al quali si sviluppa la serie, sebbene il vero e proprio protagonista sia Tom Hiddleston nel ruolo di Johnathan Pine, il “night manager” del titolo (per chi avesse curiosità di guardare le interviste di Hugh Laurie fatte durante la promozione della serie, è divertente notare come egli sottolinei che da giovane, leggendo il romanzo di le Carré, si immaginasse nel ruolo di Pine, mentre ora per motivi anagrafici gli è molto più adatto Roper). La serie racconta dell’incontro-scontro tra questi due personaggi. Pine è rimasto traumatizzato da un terribile evento accaduto a Il Cairo, durante la primavera araba, che ha portato alla morte di una persona a lui cara. Dietro questa morte c’è un giro di affari che porta direttamente a Roper. Dopo che Pine si è ritirato ad una non-vita come manager di uno sperduto albergo in Svizzera, il caso vuole che Roper torni nella sua vita. Entrano in gioco a questo punto i due personaggi femminili centrali della serie: Jed (Elizabeth Debicki, già ne Il Grande Gatsby di Luhrmann e presto in Guardiani della Galassia 2), l’ammaliante compagna di Roper, e Angela Burr (Olivia Colman), direttrice di una sotto-sezione dello spionaggio inglese in cerca dell’occasione giusta per incastrare Roper, che finora ha evitato la giustizia grazie alla corruzione ai piani alti di vari governi, quello inglese in primis. La Burr trova proprio in Pine l’opportunità che aspettava, convincendolo a inserirsi sotto copertura nell’organizzazione di Roper. Comincia così la rischiosissima missione di Pine, che inizia a seguire Roper tanto nei suoi lussuosi agi da milionario quanto nelle sue sordide operazioni da trafficante. La situazione, come ci si può aspettare da una spy story alla le Carré, è assai ambigua: non è mai chiaro se a giocare al gatto col topo sia la Burr con Roper o viceversa, e soprattutto il ruolo di Pine all’interno del mondo di Roper sembra perennemente in bilico, con il rischio aggiunto che per quanto idealista il giovane uomo si faccia corrompere dal mondo in cui è entrato… per non parlare della sua attrazione per Jed, che potrebbe mandare a monte tutta l’operazione e causargli una morte molto violenta per mano del gelosissimo Roper.
Come si può capire dall’outline della trama, le sfumature della serie sono diverse, e il fatto che la serie sia una co-produzione inglese e americana gioca un ruolo cruciale nel far funzionare The Night Manager nel modo giusto: la componente più spettacolare e di azione è curata come nella migliore serie statunitense, mentre l’intreccio e il raffinato svilupparsi della trama appartiene ad una sensibilità tipicamente inglese. Dunque se bisogna chiedersi perché la serie sia stata tanto apprezzata e sia stata riconosciuta come un prodotto sui generis di altissima qualità la risposta si trova nell’incontro tra queste due sensibilità e atmosfere. Per rendere il prodotto finale del tutto godibile mancavano solo delle interpretazioni memorabili, ed è quello che Hugh Laurie e Olivia Colman hanno dato alla serie. Le interpretazioni di Hiddleston e della Debicki, sebbene due buone performance, soffrono del confronto con quelle dei loro colleghi: è difficile non riconoscere che Roper e la direttrice Burr catturano maggiormente l’interesse dello spettatore e sono personalità più sfaccettate rispetto a Pine e Jed, personaggi affascinanti ma più stereotipati.
A partire dalle musiche, tutta la serie è pervasa da un sapore bondiano, con Tom Hiddleston nella parte di un particolare James Bond in parte Sean Connery (affascinante agente in copertura) e in parte Daniel Craig (spietato esecutore senza rimorsi). Le location esotiche, il nemico carismatico e gli intrighi internazionali sono tutti elementi da film di 007, ma coniugati secondo l’understatement e la classe tipici della spy story alla le Carré. Non ci sarebbe da stupirsi se i produttori di James Bond, guardando la serie, si siano messi a prendere appunti, magari per catturare certe sottigliezze che ora come ora mancano alla saga originata da Ian Fleming.
La vera caratteristica distintiva di The Night Manager forse è proprio la sua eleganza: ancora prima di catturare l’interesse dello spettatore con il suo intreccio narrativo la serie si preoccupa di ammaliarlo esteticamente, sia con lo charme degli attori che attraverso l’atmosfera internazionale e l’alternarsi di affascinanti paesi esotici. Questo è uno degli aspetti che vengono inquadrati meglio dalla serie, e se tra dieci anni The Night Manager verrà ancora ricordata sarà per la sua eleganza estetica e per il coinvolgente scontro di personalità al centro della trama (va reiterato che tra gli attori troneggia Laurie e il suo meravigliosamente malvagio Roper). Il successo della serie nel presente, intanto, è stato suggellato da tre Golden Globes, per le interpretazioni di Hiddleston, Laurie e Colman, e dall’Emmy alla regista Susanne Bier, che infatti molti ora vedrebbero adatta per il 25esimo 007.
Tutto questo non vuol dire che la serie sia perfetta. L’interpretazione di Tom Hiddleston è mono-espressiva, il che rende il suo personaggio un agente sotto copertura molto credibile, ma un personaggio noioso rispetto a diversi comprimari – la sua vittoria ai Golden Globes potrebbe essere spiegata dalla concorrenza abbastanza relativa. A stonare davvero però è soprattutto l’ultimo atto della puntata finale, in cui la vicenda si risolve in maniera affrettata, e lasciando la sensazione che ci sia ancora qualche filo narrativo in sospeso. Questo fatto potrebbe essere semplicemente dovuto alla difficoltà di rendere per il piccolo schermo un finale sviluppato come quello del romanzo originale, il quale, è bene ricordarlo, è stato ridotto a sei puntate a partire da quasi 500 pagine di complessi intrecci. In realtà, l’impressione che lascia davvero il finale è quella che ci sia un proseguimento della storia ancora da raccontare. Dato che il romanzo originale di le Carré è stato adattato completamente, non ci sarebbe in teoria necessità di un sequel… ma è difficile non farsi stuzzicare dall’idea, dopo essere rimasti inevitabilmente ammaliati dallo stile di The Night Manager.
Riccardo Basso