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La spia – A Most Wanted Man

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VOTO: 7

Grande Fratello

Esistono film che, involontariamente e per i casi imperscrutabili del destino, finiscono con lo specchiarsi nella vita reale e viceversa. La spia (A Most Wanted Man nell’originale) – che in teoria dovrebbe essere un thriller, sia pure sui generis, vista la sua origine letteraria griffata John le Carré (il romanzo Yssa il buono, nella versione italiana pubblicata da Mondadori) – è al contrario un’opera profondamente crepuscolare e malinconica. Perché dal punto di vista narrativo racconta di uomini che non esistono in via ufficiale, siano essi vittime o carnefici con ruoli intercambiabili. Perché queste persone, per quanto alcune di esse si sforzino di essere fredde e professionali, credono ancora nell’importanza di mantenere la parola data, nell’instaurare un certo rapporto di fiducia con il prossimo in un contesto che non lo prevede. A livello metacinematografico, molto semplicemente, perché La spia segna l’addio al cinema e alla vita artistica in un ruolo da protagonista del grande Philip Seymour Hoffman, per l’occasione “prigioniero” di un ruolo che gli permette di esprimere al meglio quella recitazione in sottrazione, trattenuta fino all’esplosione di cui è stato maestro. Oppure The Master, se preferite, parafrasando il capolavoro di Paul Thomas Anderson che lo vide qualche anno orsono memorabile protagonista assieme a Joaquin Phoenix.
Ne La spia Philip Seymour Hoffman interpreta un oscuro e, per larga parte del film, ambiguo funzionario dell’antiterrorismo tedesco. Il compito suo e della squadra che dirige è quello di preservare attacchi terroristici all’Occidente intero. Esaminando cioè, alla stregua di un entomologo, qualsiasi movimento insolito si verifichi in Germania. L’arrivo nel paese di un personaggio sospetto come il giovane Yssa Karpov, ceceno di padre russo e islamico di religione, fa scattare il segnale d’allarme da cui prende il via un plot che subito si divide in diversi rivoli, alcuni dei quali parecchio interessanti poiché raccontano nel dettaglio i guasti della globalizzazione che stiamo vivendo. Compreso il non trascurabile fatto che, per quanto il mestiere della spia preveda il compito di analizzare attentamente il comportamento altrui, ci sarà sempre qualcuno che osserverà il loro operato dall’alto. Prendendo nota. Proprio per tale motivo La spia si muove sugli stessi binari riflessivi – anche se con minor efficacia – de La talpa (2011) di Tomas Alfredson, non a caso anch’esso tratto da un romanzo di le Carré. Non c’è azione, almeno fino al convulso finale dove i nodi emergeranno al pettine. Solamente, appunto, osservazione e analisi. Alla stregua di un esperimento ittico: inserire dei pesci di specie differenti in un acquario ricco di anfratti e fermarsi ad osservare le loro reazioni. Per poi ricominciare daccapo un gioco senza regole né fine.
Il regista Anton Corbijn – che si lascia alle spalle il disastroso The American (2010) – si conferma esecutore di non eccelso livello, ma con l’alibi che La spia è in effetti un’opera che punta all’essenziale, ad interiorizzare determinate dinamiche narrative che in altri casi hanno dato vita ad action frenetici. Quindi abbondanza di tempi morti, lievi scarti emozionali, qualche accenno di melodramma nel rapporto tra il giovane Yssa e l’avvocatessa tedesca interpretata da Rachel McAdams. Un buon utilizzo delle gelide locations di Amburgo, dove gran parte del film è ambientato. Fino al gran finale, sottilmente intriso di quel pessimismo che tutti vediamo attorno a noi chiudendo gli occhi e facendo finta che non esista: il gesto nobile della rinuncia di Yssa ad un’ingente eredità non paga, la strategia spionistica della vecchia guardia è da considerarsi obsoleta o comunque inaffidabile dai Poteri Forti, quelli che comandano davvero. E gli Stati Uniti – ben personificati dalla funzionaria dell’ambasciata Robin Wright, in un ruolo che pare una propaggine da quello da lei interpretato nel serial di successo House of Cards – tirano le fila del gioco con somma soddisfazione, da gran burattinai quali sono a prescindere dall’amministrazione del momento.
Se La spia merita un giudizio critico positivo e una visione attenta lo si deve comunque in gran parte alla presenza di Philip Seymour Hoffman, il quale immette nel film tutto il coacervo irrisolto di tensioni, tic e pulsioni latenti di cui è straordinariamente capace. Indossando una maschera che alla fine cade. Proprio come un qualsiasi attore giunto, metaforicamente nudo, all’ultima, emozionante, recita. Quanto mancherà al cinema lo sapremo con esattezza solo tra qualche tempo. Intanto ci verrebbe da dire moltissimo.

Daniele De Angelis

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