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Ana, mon amour

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VOTO: 7

Le tourbillion de la vie

Non è nuovo alla Berlinale il cineasta rumeno Cǎlin Peter Netzer. Già nel 2013, infatti, era stato presente in concorso al Festival di Berlino con il suo Il caso Kerenes, vincitore, tra l’altro, dell´Orso d’Oro. A distanza di quattro anni, dunque, eccolo di nuovo in corsa per l’ambito premio con l´ultimo lungometraggio realizzato, Ana, mon amour, in cui con una messa in scena del tutto personale ci racconta le evoluzioni di un rapporto di coppia, dagli inizi idilliaci fino alla sua lenta, ma inevitabile fine.
Ana e Toma si conoscono all´università ed è subito amore. La ragazza, però, viene da un passato difficile, a causa del quale continua ad avere frequenti attacchi di panico. Toma decide, tuttavia, fin dall´inizio di prendersi cura di lei in tutto e per tutto. Per lei, addirittura, litigherà con la famiglia – contraria alla loro unione – ed arriverà al punto di avere egli stesso bisogno di consultare uno psicologo. Nel corso degli anni i due si sposeranno, avranno un figlio e col tempo, finalmente, Ana riuscirà una volta per tutte a guarire. Le cose, però, non saranno così semplici.
Colpisce fin da subito il modo in cui Netzer he deciso di raccontarci la storia di Ana e Toma. Attraverso una regia dinamica, spesso addirittura concitata, con inquadrature sovente decentrate e salti temporali che si fanno, man mano, sempre più frequenti, il cineasta rumeno riesce perfettamente a rendere sul grande schermo lo scorrere inesorabile del tempo, oltre al mutare dei protagonisti stessi. Il tutto, ovviamente, va di pari passo con la critica nei confronti della situazione politica e sociale della Romania stessa, con le sue antiche tradizioni spesso risultanti obsolete ed i suoi radicati condizionamenti all’interno di una società che sembra volerci in un modo già prestabilito, creando, di conseguenza, solo ulteriori scompensi. Ed ecco che, improvvisamente, la Ana che avevamo inizialmente conosciuto diventa, dopo poco più di due ore, una nuova Ana, una Ana che ha finalmente fatto pace con il proprio passato, ma che, tuttavia, non ha più nulla da dirsi con il compagno di una vita, del quale ha sempre avuto bisogno e per il quale è, ora, quasi una perfetta sconosciuta.
A tal proposito, i già menzionati flashback presenti – in cui momenti di grande tensione diventano, improvvisamente, attimi di passione e tenerezza – risultano purtroppo non gestiti al meglio, malgrado le buone intenzioni iniziali, risultando talvolta forzati, poco fluidi all’interno di una messa in scena e di una narrazioni assai complesse e stratificate. Stesso discorso vale per l’andamento narrativo in sé: pur convincendo parecchio la prima parte – in cui vediamo i giovani Ana e Toma innamorarsi e vivere la loro storia con tutto l’entusiasmo possibile – i momenti in cui i problemi di Ana hanno la meglio sul rapporto di coppia stesso risultano paradossalmente la parte più debole di tutto il lungometraggio. Ciò non vuol dire, però, che Ana, mon amour non sia un prodotto più che valido. Anzi, tutt’altro. Rispetto al pur dignitoso Il caso Kerenes (forse eccessivo come Orso d’Oro?), infatti, la cinematografia di Netzer sembra, in questo caso, aver spiccato un salto decisivo, trovando, finalmente, una sua stabile e precisa dimensione.

Marina Pavido

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