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The Man Who Could Not Remain Silent

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VOTO: 8

Uno su cinquecento

Mentre era in programmazione alla 36esima edizione del Trieste Film Festival, laddove si è aggiudicato il premio del pubblico, per The Man Who Could Not Remain Silent giungevano bellissime notizie da oltreoceano, ossia la nomination all’Oscar per il miglior cortometraggio. Un ulteriore e prestigioso riconoscimento per l’opera di Nebojša Slijepčević che si va ad aggiungere alla vittoria della Palma d’Oro al 77° Festival di Cannes e agli European Film Awards.
Insomma un bottino di tutto rispetto per lo short che il regista croato ha tratto da un crimine orribile commesso trentennio fa, per la precisione il 27 febbraio 1993, in quel di Strpci, Bosnia-Erzegovina. Un treno passeggeri da Belgrado a Bar viene fermato dalle forze paramilitari in un’operazione di pulizia etnica. Mentre portano via civili innocenti, solo un uomo su cinquecento passeggeri osa opporsi. Quella raccontata da Slijepčević è la vera storia di quell’uomo che non è riuscito a rimanere in silenzio davanti alla furia degli eventi e della ferocia umana. Eventi che l’autore ha deciso di mostrare non attraverso la prospettiva delle vittime o dei carnefici, bensì da quella dei testimoni.
Tale prospettiva è quella di Tomo Buzov, ufficiale in pensione dell’esercito popolare jugoslavo che fu assassinato per aver tentato di impedire il massacro di Štrpci, al quale il cortometraggio è stato dedicato. È lui l’innominato uomo al quale fa riferimento il titolo dell’opera in questione, che da figura apparentemente secondaria diventa suo malgrado principale nella vicenda quando il twist sposta improvvisamente l’attenzione da quello che fino a quel momento si pensava essere il protagonista. Narrativamente e drammaturgicamente parlando questo cambio rappresenta una mossa a sorpresa, assolutamente imprevedibile e spiazzante, che il regista piazza nella timeline quando meno te lo aspetti, prendendo in contropiede lo spettatore al culmine di un lavoro di costruzione sapiente della tensione. Il cineasta di Zagabria ne fa buon uso, tanto che si può tagliare con il coltello. E lo fa con la suspence di un thriller per ricostruire una pagina nera di Storia, probabilmente sconosciuta ai più, ma particolarmente significativa e meritevole di essere rievocata in quanto simbolo di resilienza e soprattutto di un’umanità venuta meno.
C’è poi la confezione, curata in ogni minimo dettaglio sia dal punto di vista formale che da quello delle scenografie e dei costumi. La qualità e la verosimiglianza di quest’ultimi sono fondamentali in tal senso per la credibilità di ogni period-drama che si rispetti. E questo è uno di quei casi. In The Man Who Could Not Remain Silent assistiamo a un’efficacissima gestione dello spazio e della macchina da presa in una topografia circoscritta, quella dello scompartimento di un treno dal quale la cinepresa non uscirà mai per tutti e quattordici i minuti a disposizione. Ecco prendere forma e sostanza un perfetto esempio di kammerspiel, reso ancora più ansiogeno dall’utilizzo funzionale di un 4:3 che restringe ulteriormente il campo visivo concentrandosi sui volti dei personaggi per fare rivivere al contempo le loro emozioni e percepire l’orrore che proviene dal fuori campo.

Francesco Del Grosso

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