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The Magic Mountain

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VOTO: 5

Effetti benefici

Quale cornice migliore per un’opera come The Magic Mountain se non quella offerta dal Trento Film Festival, la kermesse dedicata al cinema di e sulla montagna che ha accolto il documentario diretto da Eitan Efrat e Daniel Mann nel concorso della sua 69esima edizione. Presentato in anteprima italiana dopo il debutto nella sezione “Bright Future” dell’International Film Festival Rotterdam, il film della coppia israeliano-belga si è però rivelato l’anello debole della selezione competitiva della kermesse trentina, disattendendo gran parte delle aspettative che si erano venute a creare alla lettura della sinossi.
The Magic Mountain si concentra su tre luoghi in Europa dove sono stati scavati nella roccia tunnel, cave e grotte. Questi punti di contatto, in cui la superficie della terra è alterata e stretti cunicoli consentono l’accesso verticale al sottosuolo, sono siti di conoscenza speculativa da cui derivano e circolano credenze, immaginari e aneddoti storici non ufficiali. Esplorando questi luoghi sotterranei, l’opera affronta l’insaziabile desiderio di trarre dal suolo risorse naturali, ma anche e soprattutto modi di conoscere, sentire e vedere il mondo.
Gli autori ci portano in luoghi carichi di mistero e di importanti trascorsi storici per dare vita a un insolito viaggio a tappe, con la cinepresa che da una miniera radioattiva in Germania che si ritiene abbia effetti curativi, si sposta poi in una montagna con rocce magiche in Svizzera, per addentrarsi alla fine in un lungo sito sotterraneo chiuso e utilizzato dai nazisti in Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale. Luoghi, questi, che la macchina da presa percorre in lungo e in largo, esplorandone le topografie per risvegliare suggestioni e conoscerne il passato.
Il risultato non è un reportage o il classico documentario che mescola osservazione, repertori e teste parlanti, anche se le componenti sono tutte presenti nell’impianto tecnico e narrativo. In tal senso, si è molto più vicini a un saggio audiovisivo di creazione per definire con maggiore esattezza la vera natura del progetto, qualcosa che per genetica e intenti si avvicina a La Pyramide Invisible di Armel Hostiou e più in generale al modo in cui Werner Herzog scandaglia i luoghi nei suoi viaggi, con la mente che torna a Cave of Forgotten Dreams o a Into the Inferno.Modus operandi e approcci simili, dunque, ma con esiti molto lontani per resa da quelli portati a casa dal collega tedesco.
Efrat e Mann, qui alla loro prima esperienza in combinata e in generale dietro la macchina da presa, pagano il prezzo dell’inesperienza. Rivolgono lo sguardo ai suddetti modelli, ne prendono in prestito la costruzione e il modo di operare, aggiungendo ad esso qualcosa di personale, ciononostante non riescono a conquistare l’attenzione del fruitore, perché incapace di fornire dei veri motivi d’interesse nei confronti di ciò che sta scorrendo sullo schermo. Per cui, il solo merito che va riconosciuto a The Magic Mountain sta nell’averci portato alla scoperta di siti a noi sconosciuti, nel quale ci è stata data – seppur virtualmente – l’opportunità di entrare.

Francesco Del Grosso

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