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The Lazarus Effect

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VOTO: 4.5

Dalla morte con torpore

Il fatto che ci siano confini che non debbano essere superati, nel cinema di genere in particolare pena disgrazie assortite a venire, dovrebbe essere assunto ormai acquisito, soprattutto dopo decine e decine di film che hanno trattato l’argomento. Fanno finta di non esserne al corrente i componenti del raccogliticcio team scientifico che mette a punto un siero, abbinato ad una forte scossa elettrica, capace di riportare in vita i morti recenti, per offrire loro (sic!!) una seconda chance di guarigione da non meglio precisate malattie. Ovviamente però non è loro la responsabilità dell’esito semi-disastroso di The Lazarus Effect, filmetto tra horror e thriller che sceglie quasi inconsapevolmente il suo campo d’azione per poi non trovare di meglio che riempirlo fino all’inverosimile di tutti i più triti cliché del genere. Facciamo allora i nomi dei “colpevoli”: il regista esordiente nel lungometraggio David Gelb, per il quale è sufficiente dare profondità di campo ad un qualsiasi corridoio per generare angoscia. Oppure gli sceneggiatori, tali Luke Dawson e Jeremy Slater, che usano il tema del ritorno dalla morte come si trattasse di un volgare passatempo da sottoporre agli adolescenti amanti del filone. Ma anche – e forse soprattutto – Jason Blum, reuccio assoluto con la sua Blumhouse di thriller, horror e affini, spesso capace di portare una ventata di aria nuova nella categoria con la produzione dei vari Insidious, Sinister nonché il misconosciuto ed efficacissimo Dark Skies, tanto per fare qualche titolo. Al contrario, The Lazarus Effect sembra solo l’esempio perfetto di come si possa svilire nella serialità produttiva anche qualche buona intuizione narrativa, cioè la possibilità di raccontare le reazioni dell’essere umano messo di fronte all’inevitabile che non si rivela più tale. Nulla di tutto questo, come ampiamente prevedibile, si palesa in The Lazarus Effect. Solo una serie di sequenze assemblate alla meglio il cui unico scopo pare quello di far sobbalzare sporadicamente gli spettatori (pochi, testimonianza diretta di chi scrive) dalle rispettive poltrone, ricorrendo peraltro ad una serie di bluff più degni di un tavolo da poker che di una sala cinematografica.
Se ci si ricorda del venerando Linea mortale (1990) di Joel Schumacher (non esattamente un autore in senso letterale…), a cui The Lazarus Effect esplicitamente rifà il verso, si può ricavare un’idea abbastanza precisa dei nefasti esiti del riciclo a getto continuo operante attualmente nel sottobosco hollywoodiano; laddove il modello, che comunque trattava il tema in chiave palesemente spettacolare e con cast assai glamour (Julia Roberts, Kiefer Sutherland, Kevin Bacon), assume a confronto lo spessore di una sottile disquisizione heideggeriana sul fondamentale momento del trapasso con annesso ritorno incorporato. E nulla può, nel tentativo inutile di salvare la baracca, la bellissima Olivia Wilde, inopinatamente retrocessa, per colpa dell’insipido script, da potenziale horror queen ad una maldestra via di mezzo tra la giovane Regan de L’esorcista e la celeberrima Carrie di kinghiana memoria, insensata vendicatrice di un’etica – morale o religiosa? Dubbio che rimane amletico… – infranta che nel film, troppo impegnato a volar basso, non si manifesta nemmeno per un centesimo di secondo.
Se la ricerca di brividi, pure a buon mercato, non richiede pause, allora The Lazarus Effect potrebbe anche fregiarsi della definizione “per soli appassionati”, complice anche la durata esigua che ne garantisce perlomeno una digeribilità senza soverchi effetti collaterali. Ma se si è parte di una platea in cerca della paura vera, quella in grado di insinuarsi nell’animo anche dopo la proiezione, con il film di Gelb si rimpiangeranno non tanto i soldi del biglietto quanto il tempo gettato via per la visione. Una porzione temporale che, pare proprio il caso di affermarlo, si potrebbe vivere in modo assai migliore, visto il destino comune che prima o poi tutti attende. Carpe diem, allora. Perché di Lazzaro ce ne è stato uno ai tempi del Cristo ed è bastato e avanzato….

Daniele De Angelis

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