Ieri come oggi?
Un tema quasi sempre costante in gran parte delle produzioni cinematografiche odierne è indubbiamente la situazione delle donne all’interno della società, sia che si tratti di lungometraggi ambientati nel passato che di opere ambientate nei giorni nostri. Ma se in molti si sono “lamentati” di una scarsità di idee e di una certa monotematicità che riguarda il cinema contemporaneo mondiale, è anche vero che, alla fine della fiera, ciò che conta è come un determinato argomento venga di volta in volta messo in scena. Se, infatti, prendiamo ad esempio il lungometraggio The Devil’s Bath, ultima fatica dei registi austriaci Veronika Franz e Severin Fiala, presentato in concorso alla 74° edizione del Festival di Berlino, ci rendiamo conto di come talvolta siano sufficienti un grande talento registico e forti idee di base per conferire a un prodotto una propria, ben marcata personalità. Ma andiamo per gradi.
La storia qui messa in scena, dunque, è ambientata nel 1750 e ci racconta le vicende della giovane e religiosa Agnes (impersonata da Anja Plaschg), la quale vive in un piccolo paesino di montagna e, dopo aver sposato Wolf (David Scheid), scopre che la vita che aveva sempre sognato è, in realtà, molto differente da come l’aveva immaginata: suo marito sembra non aver alcun interesse fisico nei suoi confronti (impedendole, di conseguenza, di realizzare il suo sogno di diventare mamma), sua suocera (Maria Hofstätter) non fa che giudicarla e il lavoro nei campi è molto più duro del previsto. Agnes non desidera altro che farla finita, ma all’interno della comunità fortemente religiosa in cui vive, anche chi commette suicidio è considerato un peccatore al pari di chi uccide il proprio prossimo. Come salvarsi, dunque, da tale angosciante situazione?
Nel mettere in scena le vicende della sfortunata protagonista, dunque, Veronika Franz e Severin Fiala non hanno avuto paura di osare, di calcare la mano, di inferirci forti scossoni emotivi con scene fortemente brutali (come l’uccisione di un neonato da parte di sua madre in apertura del lungometraggio) e immagini dettagliatissime e fortemente respingenti, come teste mozzate che pian piano vanno in putrefazione, dita di cadaveri che vengono tagliate e letti sporchi di vomito.
Con The Devil’s Bath, dunque, i registi hanno dato vita a una storia ambientata ormai più di due secoli fa, ma che, al contempo, trova molte attinenze anche con il presente. Che cosa si aspetta la società da noi? Quale peso ha, ancora oggi, la religione nelle nostre vite? E, soprattutto, quanto possono essere difficili determinate decisioni finalizzate a renderci finalmente felici? Intelligente, arguto, accurato nelle sue ricostruzioni storiche, visivamente curatissimo e ricco di simbolismi (come, ad esempio, il bosco, simbolo dell’inconscio, e le farfalle, collezionate da Agnes e da sempre simbolo di morte e resurrezione) e potente come un pugno allo stomaco, The Devil’s Bath non è assolutamente un film che passa inosservato. E in questa Berlinale 2024 ha indubbiamente lasciato il proprio segno all’interno di un già di per sé variegato concorso.
Marina Pavido