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The Danish Girl

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VOTO: 7

L’identità celata anche a se stessi

Forse oggi più che mai The Danish Girl di Tom Hooper ha senso di esistere. In un tempo in cui in Italia si dibatte e ci si scontra sulle unioni civili, con la maggior parte di noi che per via della comunicazione approssimativa fraintende le varie espressioni e sfumature della legge, il cinema ci porta a far un viaggio alla scoperta dell’identità. L’ultimo lavoro del regista de Il discorso del re, con eleganza e tatto, racconta l’amore verso l’altro e la scoperta dell’amore verso se stessi.
I primi fotogrammi ci immergono nella Copenhagen degli Anni Venti, osservata come se fossimo in un quadro che di lì a poco si paleserà ai nostri occhi. Il tour emotivo nasce per gioco e da un imprevisto. L’artista Gerda Wegener (una bravissima Alicia Vikander) propone a suo marito, il pittore paesaggista Einar (un Eddie Redmayne davvero in parte), di posare per lei al posto di una modella donna, ciò implica che si vesta come tale. Lentamente affiorano in lui delle sensazioni e delle vibrazioni che lo mettono in crisi perché comincia a provare gusto nel diventare donna. Einar si sente uno sbaglio della natura e, acquisita consapevolezza, cerca di correggerlo.
La sceneggiatura di Lucinda Coxon, che adatta il romanzo omonimo di David Ebershoff, cerca di far emergere tutto il travaglio interiore vissuto dall’uomo e da sua moglie. La macchina da presa, dal canto suo, con un perfezionalismo formale segue, pian piano, le loro lunghezze d’onda che si separano. Attorno ai due gravita inevitabilmente la società, con le sue ipocrisie, i non detti e gli schemi mentali ancora più forti a quel tempo. Il film mostra senza retorica la medicina del tempo, dura anche nelle diagnosi e poco propensa all’ascolto del paziente se tale si può chiamare.
Presentato in Concorso alla 72esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, The Danish Girl arriva nelle nostre sale con il divieto per i minori di tredici anni. In America è stato vietato ai minori di diciassette anni non accompagnati «per via di nudità completa e scene con tematiche sessuali». Va detto che il corpo qui, soggetto e oggetto talvolta del contendere, è sì protagonista, ma lo sono anche gli sguardi, rubati, nascosti e incrociati con se stesso e con l’altro. Crediamo che sia una scelta ben precisa di Hooper, tanto più nella seconda parte, far prevalere i volti, le mani, i sorrisi quasi a significare che il cambiamento corporeo proviene dallo scavo nella propria anima.
Redmayne ha ricevuto l’Oscar come Miglior Attore Protagonista per La teoria del tutto e anche in quest’interpretazione dimostra di sapersi calare completamente nel personaggio – tra l’altro qui, probabilmente, sarà ricorso ancor più alla mimesi e al travestimento quasi di shakespeariana memoria. La co-protagonista, la Vikander, appare in tutta la sua compostezza e intensità.
Nota di merito va al lavoro di messa in quadro e al gioco di squadra tra fotografia, costumi e scenografia, tutti richiamanti un senso volutamente pittorico. Tutto ciò va di pari passo con l’ambientazione, più fredda e algida nella capitale della Danimarca, più calda in quella francese.
Quant’è difficile lasciar andare o, dall’altro lato, star accanto rinunciando a ciò che si desidera? Questo è uno degli interrogativi che rilancia The Danish Girl. Il resto vi consigliamo di scoprirlo, senza pregiudizi, sul grande schermo, così da conoscere la vera storia di Lili Elbe, la prima persona ad essere riconosciuta come transessuale. Nel film si sfiora con mano la sofferenza che si può provare facendo i conti con la crisi d’identità.

Maria Lucia Tangorra

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