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Cinquanta sbavature di nero

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VOTO: 5

La parodia di una parodia

La difficoltà maggiore nel realizzare un film come Cinquanta sbavature di nero stava forse in questo: fare la parodia di un film, Cinquanta sfumature di grigio, che nonostante il successo al botteghino è esso stesso, per molti versi, una parodia.
A un occhio sufficientemente smaliziato le peripezie erotiche dell’inizialmente timida Dakota Johnson (a.k.a. Anastasia Steele) e dell’inizialmente stronzo ma fascinoso Jamie Dornan (nelle vesti firmate del miliardario Christian Grey) potevano già apparire un’involontaria parodia di cosa sia realmente la trasgressione, di cosa sia realmente il bondage, di cosa siano realmente le relazioni affettive accompagnate da pratiche sadomaso.
Fatta questa precisazione, lo sfrenato comico di colore Marlon Wayans ha sposato con entusiasmo il progetto, tramutando il Grey in Black e calandosi così nei panni del protagonista, secondo il modello a lui caro: quello della comicità politicamente scorretta, anzi, scorrettissima.
Non si può certo dire che il risultato, preso nel suo complesso, aspiri ad essere artisticamente rilevante, ma a voler essere del tutto onesti ce ne sono, eccome, di punzecchiature che possono generare qualche sguaiata, grassa risata.

Con il fedele Mike Tiddes alla regia e l’ormai consueta collaborazione di Rick Alvarez per quanto concerne lo script, Marlon Wayans ha tentato perciò di ripetere la formula dei precedenti White Chicks e Ghost Movie, moltiplicando se possibile gli spunti citazionistici. A parte gli ovvi riferimenti a Cinquanta sfumature di grigio, riferimenti che in certi casi sfiorano il calco letterale (vedi la firma del contratto o la “stanza dei giochi”), ce ne sono almeno un paio che il bersaglio lo centrano: l’allusione alla bruttezza del bestseller originario e la carrellata di frustini associati ai più svariati kolossal inerenti, in qualche modo, alla schiavitù dei neri, da Amistad a Django Unchained.
Il resto è un profluvio di colpi bassi e volgarità assortite, come si può facilmente intuire, che ha comunque il merito di non raggiungere la totale gratuità e la ripetitività di fondo che altri lungometraggi di natura parodica, realizzati sempre negli USA ma da altri specialisti della comicità demenziale, hanno saputo sfornare nel recente passato. Il pensiero corre per esempio a 3ciento – Chi l’ha duro… la vince, diretto nel 2008 dall’incorreggibile duo Jason Friedberg-Aaron Seltzer, davvero il grado zero dell’intelletto cinematografico…

Stefano Coccia

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