Come sfruttare un franchise e vivere (in)felici
Si capisce dopo poche sequenze come questo Terminator – Destino oscuro possa essere indirizzato ad un’unica tipologia di pubblico: quella che, magari per meri motivi anagrafici, conosce solo superficialmente l’evoluzione di una delle saghe più longeve e famose della Storia del Cinema. Ecco quindi che le portate sono servite in tavola in confezione di lusso, con tanta azione – persino troppa – e molte furbizie di sceneggiatura, compreso il ritorno sulla scena sia di Linda Hamilton, nei panni di un’invecchiata ma non meno determinata Sarah Connor, che dell’anziano Arnold Schwarzenegger, per l’occasione ad impersonare un Terminator primo modello decisamente sui generis. Le novità riguardo i personaggi non si fermano qui, come si scoprirà durante la visione. La riserva che pesa al pari di un macigno nel giudizio sul film di un Tim Miller completamente (o quasi) spersonalizzato rispetto all’ironia di Deadpool (2016), semmai è un’altra. Perché Terminator – Destino oscuro non può non essere considerato, ad uno sguardo un po’ più attento, come una sorta di remake “non ufficiale” dell’indimenticabile Terminator primigenio firmato da James Cameron nel lontano 1984. Ovviamente epurato, a totale beneficio del comparto spettacolare, sia della decisiva componente melodrammatica (la storia d’amore tra Sarah Connor e Kyle Reese, destinata a dare alla luce il futuro capo della resistenza a Skyline John Connor) che dell’altrettanto fondamentale lettura “messianica” che era possibile concedere al film originale.
In Terminator – Destino Oscuro l’adolescente John Connor – di nuovo interpretato dal ringiovanito digitalmente Edward Furlong di Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991) – viene fatto fuori senza troppe spiegazioni nel prologo, mentre a finire nel mirino di un Terminator di ultimissima generazione ai giorni nostri sarà una ragazza messicana, tale Dani Ramos (l’anonima Natalia Reyes), destinata in un futuro non meglio definito a guidare la rivolta contro un’altra dittatura informatica chiamata Legion, in luogo della sconfitta Skyline. In suo soccorso accorreranno la già menzionata Sarah Connor, il vecchio Arnie – un Terminator “umanizzato” sino e forse oltre le soglie della credibilità – e la giovane Grace (brava e volitiva Mackenzie Davis), manco a dirlo soldatessa mandata dal futuro a proteggere l’incolumità di Dani. Un autentico Dream Team che comunque non riesce a sollecitare in alcun modo le corde emotive spettatoriali, visto che non vengono proposte mai svolte narrative differenti da quanto già visto nell’ambito della saga.
Si potrebbe dunque definire Terminator – Destino oscuro come un pigro rimescolamento di carte rispetto a frammenti ben più riusciti nel contesto seriale. Qualche spunto degno di interesse ci sarebbe anche – tipo la parte ambientata nel centro di detenzione al confine Tex/Mex, con tanto di frecciata esplicita alle feroci politiche sovraniste dell’attuale amministrazione Trump – ma viene immediatamente sacrificato in nome di una spettacolarizzazione del prodotto da inseguire in modo strenuo ed indefesso, con sequenza action di lunghezza pressoché insostenibile. Così alla fine la cosiddetta lettura intratestuale si riduce alla scontata morale del libero arbitrio umano versus la fredda tecnologia omicida delle macchine. Decisamente pochino per sperare di dare peso ad un lungometraggio assai più simile ad un videogioco “sparatutto” che ad un nuovo, possibile, inizio per una saga amatissima.
Sin quando le porte spazio-temporali saranno aperte e soprattutto gli incassi lo permetteranno, con tutta probabilità ci saranno da attendersi nuove avventure. Chissà se, e sarebbe oltremodo auspicabile, con un briciolo di fantasia ed originalità in più in sede di sceneggiatura.
Daniele De Angelis