Quanto manca all’immortalità?
«Nei nostri precedenti lavori abbiamo indagato il rapporto fra l’uomo e le istituzioni, in Spira Mirabilis ci interessava invece realizzare un film in cui l’uomo si confrontasse con i propri limiti e le proprie aspirazioni». Ci sembrava giusto partire da questa dichiarazione nelle note di regia Martina Parenti e Massimo D’Anolfi per raccontarvi del loro ultimo lavoro, in cui, crediamo, probabilmente, anche loro stessi come uomini-artisti si siano trovati a fare i conti e a scontarsi con limiti e aspirazioni. Ci avevano convinto molto con Il castello, facendoci vivere e vedere, con poesia e immagini tali da poter astrarre quel non-luogo dello scalo di Malpensa (grazie anche alla nebbia), cosa siamo diventati, cogliendo anche i momenti in cui si viola la privacy per la sicurezza. Purtroppo in Spira Mirabilis, pur mantenendo un gusto per l’inquadratura e la bellezza del creato e delle creazioni (vedi la medusa immortale o i momenti legati a monumenti come il duomo di Milano), è come se l’ “astrazione” rimanesse tale e non riuscisse ad avvicinarsi allo spettatore di turno. Lo diciamo a malincuore, stimando i due registi, ma è come se lo slancio ulteriore si sia interrotto.
Nell’ultimo documentario troviamo come protagonisti gli elementi essenziali: fuoco, terra, aria, acqua a cui si aggiunge l’etere. Per il primo ci vengono presentati una donna sacra e un capo spirituale con la loro comunità lakota e la battaglia di resistenza al mondo che avanza, per la terra le statue del duomo di Milano, costantemente sottoposte a rigenerazione. L’evocazione e la scoperta continua con musicisti inventori di strumenti/sculture in metallo, uno scienziato-cantante giapponese che studia la Turritopsis nutricula, una piccola medusa immortale e infine Marina Vlady, che dentro un cinema fantasma fa da traghettatrice narrando “L’immortale” di Borges. Il tutto sulla carta ha un potenziale molto interessante e anche sullo schermo per la bellezza delle immagini in sé, ma richiede uno sforzo importante al pubblico in quanto l’attenzione non riesce a rimanere alta per tutte le due ore del film. La percezione che si ha, d’istinto, è che si sia “rincorso” qualcosa di poetico unendo questi elementi che, poi nella resa, siano percepibili in modo frammentario. Peccato, a nostro parere, per l’occasione mancata.
Il nostro invito è comunque indirizzato verso il prendere visione di Spira Mirabilis, al di là delle imperfezioni e della mancata centratura degli obiettivi, perché è un lavoro di due documentaristi che hanno una poetica e già un personale sguardo sul mondo, compresi noi “piccoli” esseri viventi. Il punto nodale è che in passato ci aveva catturato la loro abilità di stare su “un dettaglio” della realtà, cogliendone il focus e mostrandoci sfumature che all’occhio “comune” sfuggono (e Il castello afferisce a questo). Puntare, in Spira Mirabilis, sull’universale e anche sull’immortalità assemblando alcuni pezzi, non ha creato quel dolce naufragar in questo mare. Ad attrarre e calamitare è la potenza visiva e post visione restano lampi della stessa perché, nonostante richiami, sovrapposizioni e associazioni, viene meno la struttura narrativa, certo sempre tenendo conto nell’ottica di essere all’interno del genere documentario.
Spira Mirabilis è stato selezionato in Concorso alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è nelle nostre sale con I Wonder Pictures dal 22 settembre.
Maria Lucia Tangorra