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Sopladora de hojas

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VOTO: 8

Chi trova una chiave, trova un tesoro

Con l’opera prima dal titolo Sopladora de hojas, presentata in concorso alla 33esima edizione del Torino Film Festival, Alejandro Iglesias riesce lì dove moltissimi altri colleghi più o meno collaudati delle diverse latitudini non sono riusciti ad arrivare: trarre da un plot praticamente inesistente e da un’idea apparentemente insignificante un grandissimo film. La sua pellicola d’esordio è, infatti, una piccola perla che ne mette in risalto le qualità e l’indubbio talento, quanto basta per consegnarlo a futura memoria nell’elenco dei registi da tenere sott’occhio. La forza dell’operazione sta nell’estrema semplicità con la quale il regista compone il tutto, trovando nella sottrazione invece che nella saturazione drammaturgica e stilistica la strada giusta per raggiungere il cuore dello spettatore. Quest’ultimo si confronta con un’opera capace di offrire un bagaglio ricchissimo di spunti di riflessione, di quelle che sfuggono abilmente alla scialba morale a buon mercato. L’arma in dotazione per centrare il bersaglio al primissimo colpo è l’ironia travolgente, frutto di uno humour nero e pungente che distilla sorrisi e risate a profusione (da non perdere il capitolo 4 che vede il trio protagonista alle prese con un poliziotto).
Per farlo, il regista messicano sceglie di andare controcorrente rispetto al modus operandi imperante nella Settima Arte che punta all’abbondanza e al superfluo, piuttosto che al sufficiente e all’essenziale. Iglesias sceglie pochissimi elementi – quelli giusti – e con quelli e intorno a quelli costruisce l’esigua, ma straordinariamente solida ed efficace architettura: tre personaggi ben delineati, calati alla perfezione in una manciata di location che fanno da parentesi di transizione a quello che diverrà a conti fatti una sorta di ring, ossia un parco pubblico circondato dai palazzi di una metropoli, dove i protagonisti si confronteranno in un faccia a faccia senza esclusione di battute al fil di cotone. Lucas, Emilio e Ruben sono tre adolescenti goffi, amici per la pelle, riuniti per una missione “impossibile”: ritrovare le chiavi che uno di loro ha perso nel parco, tra mucchi di foglie secche, prima di andare a una cerimonia funebre. Un pomeriggio tra chiacchiere e confessioni, timidezze e fantasie erotiche, battibecchi con i passanti, la dolente leggerezza della gioventù. A una prima e superficiale lettura potrebbe sembrare il classico romanzo di formazione, o meglio uno dei tanti capitoli che normalmente lo vanno a comporre, ma non sarà così. Quello del coming of age è solo un punto di partenza per dare il là a una surreale opera prima che, senza orpelli, racconta con tono scanzonato un serissimo momento di crescita. Lo smarrimento di un mazzo di chiave spalancherà al trio nuove e più importanti porte, quelle che conducono direttamente alla verità e alla conoscenza di loro stessi.
Anche da un punto di vista tecnico-stilistico, Sopladora de hojas si caratterizza per poche ma efficacissime soluzioni registiche (pedinamento in steadycam e combinazioni di focali), funzionali e completamente al sevizio della storia raccontata e della tipologia di progetto. Il resto lo fanno i bravissimi interpreti e l’impianto dialogico.

Francesco Del Grosso

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