Survive
«A cosa serve essere brillante se quello che faccio non cambia la vita a nessuno?». Se lo chiede e lo rilancia con fermezza e determinazione Paulina (straordinaria Dolores Fonzi) a suo padre Fernando (Oscar Martínez) nel momento in cui gli comunica di voler lasciare la carriera di avvocato e il dottorato per seguire un progetto umanitario facendo «la maestrina in campagna». Parte così La patota (letteralmente “la banda”) di Santiago Mitre, in medias res e in un momento cruciale nella vita della donna.
Dopo esser stato alla Semaine de la critique allo scorso Festival di Cannes, arriva in concorso alla 33esima edizione del Torino Film Festival, colpendo subito per la forza drammatica e per come la nostra protagonista cerca di sopravvivere alle derive umane e sociali.
La ventottenne torna da Buenos Aires al paese natio, al confine tra Paraguay, Argentina e Brasile, e si ritrova a tenere un seminario di scienze politiche a ragazzi di un quartiere povero. Il primo incontro ha quasi un’aurea “fantascientifica” nel senso simbolico del termine. Sia loro che anche, in parte, noi, si e ci meravigliamo nel sentire frasi come: «i politici sono vostri dipendenti» e Paulina si presenta così in quanto insegnante posta lì per istruirli e confrontarsi anche sulle loro domande. Ne La patota (titolo internazionale Paulina) si parla di diritti umani e lo si fa introducendo l’espressione e il concetto in sé ad adolescenti che non sono educati a tutto questo. Ciò che questo film comunica, in particolare, attraverso la posizione di Paulina è che certi atteggiamenti incivili, da branco, non sono sempre dovuti all’anima marcia del singolo, come se questi fosse deviato. Con questa specificazione lungi da Mitre e da noi giustificare alcuni atti, ma è un punto centrale nell’approccio alla visione de La patota. «Paulina non doveva essere capita, ed era proprio questo che mi interessava nel fare il film. Essere in grado di seguirla, di accompagnarla, di pensare con lei, senza cercare di capirla. Senza rinchiuderla in spiegazioni» (dalle note di regia).
Ecco è proprio questo che bisogna fare e su cui l’evoluzione filmica ci porta, non si può optare diversamente, ma solo accettare e assistere al modo della donna di provare il dolore per la violenza subita e tematizzarlo a suo modo. È come se con questa sua seconda opera, il regista argentino voglia raccontare un contraltare del pragmatico Roque Espinosa (visto in El etudiante). Ma così come accadeva nel lungometraggio di esordio, anche Paulina evolve a causa e grazie alla società con cui cerca di fare i conti.
Non è mai semplice riadattare film già esistiti, Mitre ha cercato una propria strada rispetto all’originale del 1960 diretto da Daniel Tinayre dando la parte da leone alla politica piuttosto che alla religione. In più ha deciso di scavare nel rapporto padre-figlia, riservandogli maggiore spazio, rappresentando sia lo scarto generazionale che quello ideologico – un filone portante che avrà molta presa sulla platea, merito anche degli ottimi dialoghi, così viscerali e sentiti.
Ne La patota i forti confronti tra Paulina e suo padre Fernando, tra l’altro anche giudice, delineano dei momenti cruciali. Mitre, in veste pure di sceneggiatore, è abilissimo nel disorientare il pubblico anche perché cerca di ricostruire i fatti da più punti di vista, presentando diverse angolazioni, con salti temporali che, a conti fatti, ci fanno riallacciare i fili. È come se tutto, dalla messa in quadro al plot, concorra al disegno di capovolgere gli schemi precostituiti, coerentemente con il modus vivendi della nostra protagonista. Davanti a una violenza subita, come reagiremmo? Forse verrebbe naturale pensare anche solo per un attimo che chi ha compiuto quell’azione debba pagare, ci sfiorerebbe il pensiero della vendetta. Bene, nella percezione della realtà di Paulina: vittima e carnefice non esistono o almeno i confini non sono sempre così chiari e scontati. Non è facile credere nel cambiamento, soprattutto quando la società vorrebbe portarti al disincanto, eppure alcune reazioni e scelte della donna che ci spiazzano, ci fanno pensare che uno spiraglio possa esserci. La chiave sta nel non giudicarla mentre assistiamo a La patota.
Maria Lucia Tangorra