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Soldado

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VOTO: 7.5

No rules

Molti cineasti europei che bene hanno fatto tra le mura amiche o nel circuito festivaliero internazionale attirando su di sé le attenzioni e i favori del pubblico e degli addetti ai lavori, alla prima prova oltreoceano hanno – purtroppo per loro e anche per noi – fallito (alcuni dei quali anche di molto) il bersaglio grosso, quanto basta per vanificare il lodevole passato. Il richiamo ammaliante e altrettanto pericoloso delle sirene a stelle e strisce ha interrotto bruscamente – in certi casi addirittura bruciandole – tante di quelle carriere che stare qui a sciorinare nomi sarebbe come compilare un bollettino di guerra. La storia della Settima Arte insegna e non risparmia nemmeno esponenti più o meno celebri della cinematografia nostrana.
Per fortuna c’è chi come Stefano Sollima dalla prima esperienza hollywoodiana – e speriamo prima di una lunga serie visti i risultati – alla guida di Soldado non è uscito con le ossa rotta, ma fortificato e arricchito ulteriormente a differenza di tantissimi altri colleghi delle varie latitudini, incapaci di sopportare il peso delle responsabilità e lo stress della trasferta. Del resto, il bagaglio accumulato sul grande schermo e nella serialità televisiva, oltre a mettere in evidenza le sue indiscutibili doti dietro la macchina da presa, rappresentavano un biglietto da visita importante per il cineasta romano e una dimostrazione tangibile del suo avere tutte le carte in regola per portare a termine la spedizione in terra straniera (spesso ostile) nel migliore dei modi. E così è stato: lo dicono anche i numeri raccolti al box office sino ad oggi, con un ammontare di 73,3 milioni $, dei quali 19 milioni circa racimolati nel weekend d’esordio negli Stati Uniti.
Cifre a parte, che pur se significative lasciano spesso il tempo che trovano, Soldado è uno di quei prodotti mainstream in grado di fare brillare gli occhi degli amanti del cinema di genere (e non solo), nonostante si tratti del secondo atto di qualcosa destinato con molta probabilità, e a giudicare dal finale, a diventare parte integrante di una trilogia. Staremo a vedere. Nel frattempo ci godiamo quello che si presenta come il sequel di Sicario di Denis Villeneuve, film con il quale il regista canadese aveva raccontato nel 2015 l’ennesimo capitolo della guerra al narcotraffico, offrendo alle platee una scarica ad alto voltaggio di pura adrenalina con un cocktail di crime, thriller, war, action e dramma. Lo stesso mix lo ritroveremo anche nelle due ore e poco più del nuovo film del regista di A.C.A.B. e Suburra, che prende in mano lo script di Taylor Sheridan spruzzando su di esso una bella spolverata di western contemporaneo. Sollima da parte sua non si presta ad essere l’esecutore di turno ingaggiato da una major per mettere in quadro quanto affidato, ma ci mette molto del suo in un progetto che per natura e DNA sembrava cucito su misura addosso al suo cinema, dove la linea che separa il bene dal male si fa tanto sottile da diventare invisibile. Lo era per la storia narrata, per i profili labili dell’universo (dis)umano che la popolava e anche per il modo in cui questa andava raccontata per immagini. Soldado è la prova che puoi portare a te qualcosa che inizialmente per affinità elettive lo era solo in parte e su carta. Se sai dirigere e sei capace di fare rispettare te e la tua autorialità, allora puoi realizzare film ovunque, anche laddove sei un perfetto sconosciuto o carne da macello da gettare senza riguardo nel tritacarne. Il regista romano non ha vacillato nel gestire la materia prima altrui, mantenendo intatta una specificità e una forte identità che ha portato il tutto a una personalizzazione, quando al contrario chi si è trovato nella sua stessa posizione ha finito con il perdere. Ciò che sarebbe potuto tranquillamente essere un episodio di transizione in attesa dei fuochi d’artificio finali, nelle sue mani si trasforma in un coinvolgente capitolo di un romanzo criminale parlato in lingua straniera.
Rispetto al precedente non ha nulla da invidiare tecnicamente, mentre narrativamente abbandona il punto di vista femminile e forse perde qualcosa in termini di spessore drammaturgico, ma le eventuali pecche e mancanze semmai vanno ricercare nel lavoro di scrittura di Sheridan, che resta comunque di alto profilo. L’autore dello script risente un po’ della necessità di riaprire le ostilità, dare nuovo respiro alla vicenda e ampliare ulteriormente lo spettro caratteriale e psicologico dei personaggi rimasti in campo. Ciononostante, lo sceneggiatore, regista e attore americano, riesce a cucire i fili necessari a tessere una trama utile alla causa e buona per dare seguito alla sua personale perlustrazione cinematografica del marcio che si annida e miete vittime nella moderna frontiera statunitense (Hell or High Water e I segreti di Wind River). Per farlo si avvale questa volta del “braccio armato” del collega italiano, scelta perfetta se si pensa ai suoi trascorsi seriali di ieri (le fortunate stagioni di Romanzo criminale e Gomorra) e agli impegni futuri (ZeroZeroZero dal romanzo-inchiesta di Roberto Saviano).
Con Soldado ci troviamo catapultati senza se e senza ma al confine tra Stati Uniti e Messico, terra di nessuno dove nella guerra alla droga non ci sono regole e la lotta della CIA al narcotraffico si è inasprita da quando i cartelli hanno iniziato a infiltrare terroristi oltre la frontiera. Per combattere i narcos l’agente federale Matt Graver dovrà assoldare il misterioso e impenetrabile Alejandro, la cui famiglia è stata sterminata da un boss di uno dei cartelli locali, per aumentare l’efferatezza del conflitto. Alejandro scatenerà una vera e propria, incontrollabile battaglia tra bande in una missione che lo coinvolgerà in modo molto personale. Rapisce, infatti, la figlia del boss per scatenare il conflitto, ma quando la ragazza viene considerata un danno collaterale, il suo destino si metterà tra i due uomini che si interrogano su tutto quello per cui combattono.
L’esito dello scontro lo lasciamo ovviamente alla visione, ma sappiate che di piombo ne cadrà davvero tanto, di sangue ne verrà versato altrettanto e di detonazioni sullo schermo se ne vedranno a grappoli. Testimoni oculari e artefici della mattanza i personaggi interpretati nuovamente da Josh Brolin e Benicio Del Toro, qui alla prese con un “gioco” che si fa ancora più sporco, disumano e senza regole d’ingaggio. Un “gioco” che Sollima mette in scena con una confezione di ottima fattura, dove alla tensione accumulata nelle scene statiche fanno da contrappunto accelerazioni di ritmo e folate di violenza (su tutti l’attacco dinamitardo nel supermercato di Kansas City, il rapimento della figlia di Reyes, l’imboscata e la sparatoria contro la polizia federale messicana) che lasciano un segno forte e incisivo sulla retina del fruitore.

Francesco Del Grosso

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