Ricordati di santificare le feste
“Natale con i tuoi, Pasqua pensando a come vendicare i tuoi”. Una così beffarda modifica al detto popolare potrebbe essere la tagline ideale, per questo attesissimo ritorno di John Woo dietro la macchina da presa. Quando l’attesa è così lunga, spasmodica, c’è però il rischio che non si valuti serenamente il risultato finale: siamo pronti a scommettere che tra gli stessi fan di cotanto Maestro non pochi resteranno confusi, spiazzati, di fronte a un action che presenta diverse anomalie, rispetto alla precedente produzione dell’autore. Eppure, a noialtri è parso che sullo schermo la maestria del cineasta hongkonghese risalti alla perfezione, quantunque associata a un progetto cinematografico dai tratti così bizzarri, eccentrici, che cita e ribalta di continuo la grammatica del film d’azione; a partire da una scansione temporale per certi versi schizofrenica, in cui rallentamenti quasi esasperanti e piedi premuti sull’acceleratore s’alternano di continuo.
Ad ogni modo John Woo s’è fatto attendere a lungo: l’ultimo suo film, un poliziesco girato in Estremo Oriente e intitolato Manhunt, risale addirittura al 2017. Dopo uno stop di oltre 5 anni riecco in sala un blockbuster, Silent Night – Il silenzio della vendetta, stavolta di produzione statunitense, girato in parte a Città del Messico e ricco di quegli elementi singolari, cui accennavamo prima e che andremo ora a esplicitare.
Esemplare la sequenza iniziale. Un lungo, interminabile inseguimento, motivato da qualcosa che non ci è dato ancora sapere. Un uomo in fuga, a piedi. E dietro di lui una macchina con la spietata gang di probabile origine ispanica che vorrebbe farlo fuori a tutti i costi. Qualche ralenti prolungato. E una curiosa, beffarda insistenza su dettagli di matrice natalizia: il maglione del protagonista, soprattutto. A farci intuire il periodo dell’anno anche la colonna sonora, con una straniante rivisitazione di quel celebre canto di Natale, da cui il titolo.
Ma nonostante la già promettente abilità dell’uomo nello sgusciare via di corsa, il villain di turno, con tatuaggi inquietanti sul volto come promesse di morte, riuscirà a raggiungerlo e a ferirlo sul collo con un proiettile. Credendolo poi spacciato, al punto di allontanarsi trionfalmente da lì, invece di finirlo. Ma in ospedale assisteremo alla “rinascita” dell’Eroe. Un “eroe per caso”, sfatto fisicamente e moralmente, avendo perso il figlio in circostanze tragiche (come scopriremo poco più avanti) e destinato molto probabilmente ad allontanarsi anche dalla moglie, a lui vicina nel lutto ma sostanzialmente estranea alle modalità che l’uomo sceglierà per “elaborarlo”. Ovvero la pianificazione di quella spietata rivalsa, degna del più contorto e sanguinario revenge movie…
Godluck, il protagonista, un Joel Kinnaman (unico nome davvero di peso nel cast: da ricordare per lui L’ora nera, Millennium – Uomini che odiano le donne, Suicide Squad) decisamente in parte, per colpa di quel proiettile ha perso l’uso delle corde vocali. Ed è da questa trovata di sceneggiatura, tanto semplice quanto foriera di conseguenze, che John Woo fa discendere l’atipicità di un action movie portato alle estreme conseguenze, in cui le azioni si sostituiscono completamente alla parola, senza però soffocare del tutto l’interiorità del personaggio. Al contrario, attraverso dilatazioni temporali pressoché inedite per il genere, assisteremo nella parte iniziale del film a continui raccordi tra presente e passato, tra la desolazione dopo l’incidente e i ricordi felici, sciorinati qui in flashback, laddove le scene di famiglia con moglie e figlio hanno un po’ il retrogusto del cinema di Malick. Tutto ciò prima che la violenza fin lì trattenuta, compressa, esploda fragorosamente, nella convulsa e interminabile fase conclusiva di un racconto dall’andamento rapsodico.
Asciugato all’inverosimile, stilizzato, deformato, il film d’azione diretto col consueto mestiere (per quanto riguarda, ovvio, inseguimenti in macchina o in moto, sparatorie e violenti corpo a corpo) da John Woo è quindi anche altro. Sinistro “calendario dell’avvento”, Silent Night occupa nella sua scansione temporale i lunghi mesi tra un Natale e l’altro, con particolare enfasi data nella pianificazione della vendetta proprio alle feste comandate: Pasqua, Festa della Mamma, eccetera eccetera. All’interno di questo percorso, nel corso del quale lo Spirito pare calarsi sempre di più nella Materia, sporcandocisi volontariamente, agli struggenti ed eterei ricordi famigliari del protagonista si sostituisce poco alla volta la concretezza di quel training psico-fisico, che lo porterà ad armarsi per la vendetta. La densità materica qui regna sovrana. E difatti il primo scontro con uno dei malviventi responsabili della morte del figlio è connotato da una fisicità impressionante, distruttiva per entrambi i soggetti coinvolti, che ci ha persino rammentato analoghe scene ne La promessa dell’assassino di David Cronenberg.
Il leitmotiv sarà più o meno lo stesso nel regolamento finale tra Godluck e la banda del villain menzionato all’inizio, sanguinoso confronto impreziosito dalla pazzesca scenografia dell’ultimo duello, che coinvolge però anche un risoluto detective di colore intervenuto a favore del protagonista.
Alla sapienza del suo cinema del passato John Woo, evidentemente assai consapevole del successo di saghe come John Wick e The Equalizer, pare aver aggiunto un tocco che rema proprio in direzione del revenge movie contemporaneo, col suo (anti)eroe trasformato in perfetta macchina di morte che elimina nemici a ripetizione, pur subendo a sua volta (nel segno della matericità precedentemente individuata quale forte marchio espressivo) una serie di colpi devastanti e di ferite sempre più gravi.
Se qualcosa possiamo rimproverare a questo sontuoso ritorno di John Woo è semmai qualche effetto barocco tutto sommato gratuito, vedi ad esempio le zoomate sugli occhi della moglie nelle prime scene in ospedale. O qualche altro “virtuosismo” registico meno integrato con la struttura comunque bipolare della narrazione. Ma sono peccati veniali, per un singolare action movie in cui la tradizionale maestria del cineasta hongkonghese si sposa con qualche suggestione nuova, diversa, appassionando quello spettatore che non ha timore di perdersi nelle pause più contemplative del racconto e “riaccendersi” poi all’improvviso, dal momento in cui l’adrenalina riprende a scorrere copiosamente sul grande schermo.
Stefano Coccia