Il Buono, il Russo e i cattivi
Non c’è nulla da fare: la Hollywood mainstream avrà mille difetti ma anche una capacità innata di capire in anticipo da che parte spira il vento, con tutte le conseguenze positive (a suo favore) del caso. Prendiamo a massimo esempio questo The Equalizer – Il vendicatore, in teoria adattamento cinematografico della serie televisiva anni ottanta Un giustiziere a New York, della quale – come vedremo – rimangono inalterati i nomi dei personaggi e poco altro.
Nella realtà c’è forte tensione tra Stati Uniti e Russia, soprattutto per la questione Ucraina? Allora il “nemico” del film sarà proprio lo stato principe dell’ex Unione Sovietica, per l’occasione rappresentato – guarda un po’ il caso – come una sorta di enclave mafiosa che pare aver allungato i propri tentacoli su buona parte del territorio americano. Fanta-socio-politica, certo. Ma al “compagno” Putin fischieranno decisamente le orecchie. Nella serie televisiva di cui sopra il protagonista era interpretato da Edward Woodward, un attore british di mezza età, ovviamente bianco di pigmentazione dato il periodo reaganiano di trasmissione di Un giustiziere a New York in tv. Nella versione cinematografica l’interprete principale è Denzel Washington, ovvero l’incarnazione vivente del prototipo obamiano di uomo serio, onesto, affabile, ironico e tutto d’un pezzo. Che poi, gettandoci senza rete con totale sprezzo del pericolo in una lettura psicoanalitica con sfumature politiche del film, le (re)azioni violente messe in atto da Robert McCall/Denzel Washington costituiscano pure un’esortazione indirizzata a Presidente e popolo americano a reagire con la dovuta durezza alle prepotenze del già menzionato zar Putin questo aggiungerebbe addirittura un bel po’ di spezie ad un piatto comunque saporito di suo, nonostante parecchi aspetti quantomeno discutibili nell’insieme, da degustare con una certa attenzione.
Al tirar delle somme dunque anche The Equalizer non deroga alla propensione bulimica di Hollywood, sempre smaniosa di attirare più pubblico possibile in sala. Quindi almeno due – e ci teniamo stretti – film in un uno. Nella prima parte, abbastanza sorprendentemente, la regia del solitamente adrenalinico Antoine Fuqua nel descrivere l’incontro tra McCall e la baby prostituta Alina (ancora la bravissima Chloë Grace Moretz, giovane attrice che sta ampiamente dimostrando il suo valore diversificando all’estremo i propri ruoli, come nel coevo Resta anche domani) assume toni efficaci da dramma intimista, disseminando foschi presagi sull’inevitabile esplosione di violenza che seguirà. Molto interessante anche l’illustrazione della metamorfosi – almeno allo sguardo spettatoriale – del cittadino onesto McCall da dipendente (!) di supermarket (nella versione originale era un detective privato) a spietata macchina da guerra. Ovviamente il nostro ha un passato alle spalle e tuttavia la scelta narrativa compiuta da questo aggiornamento aiuta a far scattare quei meccanismi di empatia così apprezzati dal pubblico giovane, nonostante alcuni eccessi di violenza corrano il rischio di generare più la risata che il tifo spontaneo per l’eroe. Anche su tale definizione, poi, il dibattito è aperto. Nel senso che la domanda fondamentale posta dal film è allo stesso tempo semplice e complessa: che diritto ha un singolo essere umano di replicare con una violenza moltiplicata a chi impone un regime basato su soprusi e terrore? Qualcuno sosterrà che, nel suo appoggio incondizionato alla figura di McCall, The Equalizer – Il vendicatore si pone idealmente su ben definite posizioni reazionarie. Sara anche vero, ma quanti “giustizieri fai da te”, nella totale latitanza di una qualsiasi istituzione in grado di garantire un elementare rispetto delle regole, ha partorito il cinema statunitense dagli albori del western in poi? In tempi cupi come quelli che stiamo vivendo c’è evidentemente bisogno vitale di riferimenti positivi ed in questo senso Denzel Washington – sessant’anni e non sentirli… – rende il suo personaggio, sospeso tra meditato senso di ribellione verso un mondo che non riconosce più ed un’ironia amara necessaria alla sopravvivenza, pressoché alla perfezione, peraltro pure assai ricco di sfaccettature.
Accontentiamoci quindi – trattandosi di potenziale blockbuster – di tali spunti su cui discutere, di una regia abilissima nell’enfatizzare lo “spettacolo” della violenza, di un buon cast senz’altro all’altezza. Sempre consapevoli però che il cinema non inizia e finisce con determinati prodotti e la ricchezza che è propria della Settima Arte può anche offrire molto altro, in quanto a visioni del mondo. Basta guardarsi un po’ attorno.
Daniele De Angelis