Una rosa non sarà mai un lillà… ma insieme formano un bel bouquet
In concorso alla 22ma edizione del Rome Independent Film Festival, L’anima in pace di Ciro Formisano ci riporta indietro nel tempo al 2020, quando il lockdown sconvolse le nostre vite e lo spettro del Covid aleggiava sul mondo intero; lo fa con un film intenso, divertente pur nella tragicità di una storia che sembra senza via d’uscita, che fa riflettere sull’importanza delle nostre scelte e sul potere che abbiamo di cambiare le nostre vite.
Mettersi l’anima in pace, smettere di soffrire per qualcosa di inevitabile, rassegnarsi; è quello che cerca di fare Lia, fuggita a Roma con la figlia Dora da un marito malavitoso, finita in carcere per avergli sparato quando lui è tornato a cercarle, e a cui hanno tolto la custodia dei due figli più piccoli, i gemellini. Libera da un marito pericoloso e dalla prigione, si è stabilita con Dora a casa della sorella Rosi, alla periferia di Roma; assetata d’amore e di vita, vive con leggerezza e la testa tra le nuvole in un mondo tutto suo, contraltare perfetto di una figlia che ai sogni ha rinunciato per vivere con i piedi ben piantati in terra, pratica e risoluta, con un lavoro sfiancante ma necessario soprattutto durante i mesi di lockdown. Ecco, Dora l’anima in pace non l’ha messa affatto: nella speranza di riavere con loro i gemellini dando prova di una situazione economicamente stabile, lavora come corriere a tutto tondo, recapitando la spesa a chi è costretto a stare in casa per le disposizioni ministeriali del periodo e pacchettini di droga ai clienti del suo uomo Yuri, il bello e dannato del quartiere. L’incontro con Andrea, il bravo ragazzo di buona famiglia, sembra dare una svolta alla sua vita; ma, come disse Andrè ad Oscar nel famoso anime, “una rosa non sarà mai un lillà”. O, come le dice schiettamente la sofisticata madre di Andrea, “un cane non può diventare un gatto”.
Eppure, Dora ed Andrea, così diversi per estrazione sociale ed educazione, hanno in comune un cuore buono e la genuinità dei propri sentimenti; ma il roseo ottimismo del futuro medico, cresciuto in un mondo dorato, che la spinge a migliorarsi, cozza contro il lato oscuro della ragazza, che nella vita ha conosciuto un padre che l’ha venduta, ancora bambina, ad un “amico”, ha avuto una madre che per liberarsene è arrivata a sparargli, ha sofferto il distacco forzato dai due fratellini, ha fatto da pusher ad un fidanzato spacciatore che ha ancora del potere su di lei, e vive una vita in periferia fatta di sacrificio e dolore. Come finirà tra loro non è dato saperlo: Formisano lascia sapientemente il finale aperto alle possibilità; ma l’intensa sequenza conclusiva di Dora, che ha ritrovato il senso vero della famiglia, rende alla perfezione il suo mettersi, finalmente, l’anima in pace.
Formisano ha girato il film in diversi quartieri di Roma, ma il fulcro, la casa dove vivono le tre donne, è nel periferico ed ostico Quarticciolo; le difficoltà della troupe ad interagire con i residenti ha costretto ad allargare in certo senso il cast ad alcuni di loro, presenti in piccole scene, rendendo così l’ambientazione più verosimile. La periferia, d’altro canto, non la si conosce davvero se non ci si è cresciuti; il pericolo era quindi di fare de L’anima in pace un prodotto finto ed edulcorato, ma il coartato coinvolgimento del quartiere ha smussato gli angoli, dando davvero vita al film. Il resto lo hanno fatto la bravura degli attori; dalla giovane protagonista Livia Antonelli, volto singolare e penetrante, alla bravissima Donatella Finocchiaro, nel ruolo di una madre svampita che fa da figlia alla propria figlia; dall’altrettanto brava Cinzia Susino dalle tante sfaccettature (la sorella Rosi) ad Irene Muscarà, attrice teatrale di grande talento qui nella inconsueta ed esilarante parte di Gaia, la pazza del quartiere: i suoi repentini cambi di registro sono perfetti ed irresistibili, come la vis comica delle sue scene. Ricordiamo anche Antonio Digirolamo, il tenebroso ed infido Yuri, il volto pulito e solare di Lorenzo Adorni nel ruolo di Andrea, la bella Pina Bellano in un ruolo per lei inedito, contenuto e mai sopra le righe; e, ciliegina sulla torta, la bravissima Daniela Poggi nel ruolo della mamma di Andrea, il fastidioso Grillo Parlante che non vede di buon occhio il legame del figlio con Dora ma che alla fine empatizzerà con la ragazza ed il suo ingombrante passato.
Cornice di tutto, una inquietante Roma semideserta, l’incubo del dover “stare in casa” e delle mascherine, un passato recente che vorremmo dimenticare ma che si è incuneato, insidioso, fin nella nostra anima; e neppure le avvolgenti musiche di Massimiliano Lazzaretti riescono a lenire del tutto l’angoscia di quei giorni.
Michela Aloisi