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Un affare di famiglia

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VOTO: 8

Here comes the rain again

Sembra che stia per nevicare”, così si dice in una battuta iniziale del film Shoplifters (per l’uscita italiana il titolo scelto è Un affare di famiglia), l’ultimo film di Hirokazu Koreeda, presentato in Concorso al Festival di Cannes 2018. La nevicata copiosa arriverà alla fine però, dopo un ciclo delle stagioni coperto dall’arco temporale del film. Il cinema di Koreeda prevede sempre tempeste metaforiche, turbolenze atmosferiche, che incombono o che sono passate ma ancora non assimilate. La nevicata, la tempesta, della famiglia dei protagonisti, i Shibata, almeno fino a un certo punto, è un’intemperia diffusa e riguarda la loro povertà, la loro condizione di indigenza. Vediamo subito il padre, Osamu, insieme al figlio piccolo, impegnati in un’operazione abile di taccheggio nel supermercato. La loro vita si svolge in una piccola abitazione, dove vivono ammassati, in una condizione ai limiti. Osamu ammette di non fare da anni più l’amore con la moglie, anche se la cosa importante è volersi bene e comunicare, proprio per la situazione di sovraffollamento domestico. Il ritorno di passione della coppia avverrà ancora in coincidenza con un’altra tempesta, un violento temporale, a segnare questa fiammata nella vita dei personaggi. Una delle sorelle maggiori è una lavoratrice del sesso, impiegata in un locale dove si soddisfano le esigenze dei clienti attraverso una sorta di vetro scuro, e qui Koreeda torna a occuparsi dei surrogati della sessualità offerti dal mondo contemporaneo come aveva fatto in Air Doll. Centrale è poi la figura della nonna, interpretata dall’immancabile Kirin Kiki, attrice che ormai da decenni detiene il monopolio delle simpatiche vecchiette del cinema giapponese. Che si gode la vita, passa le giornate al pachinko, anche per avere una pur minima disponibilità economica. Quando verrà a mancare si verificherà un meccanismo ozuiano, nell’accaparrarsi il suo lascito.
I Shibata vivono questa loro condizione misera non come un dramma, ma con serena rassegnazione. Quando commentano il fatto che un loro debitore non li stia pagando, lo fanno con pacatezza, tranquillamente. Si vede che non avrà i soldi, sanno cosa vuol dire la miseria. Nell’adottare una bambina trovatella da parte della famiglia, pur nella situazione in cui si trovano i Shibata, Koreeda torna al tema di Like Father, Like Son, di cosa definisca i legami famigliari, la semplice consanguineità, oppure il manifestarsi di rapporti affettivi di fatto, di imprinting. La coppia in crisi è l’altra, agiata, quella che non si cura di denunciare lo smarrimento della figlioletta. La sua accettazione nella famiglia avviene per varie fasi e passa per essere arruolata nel taccheggio, ma anche nel fare il bagno insieme ad altri famigliari nella tradizione della famiglia nipponica dove non esiste pudore in questa situazione, come si vede in tanti film dello stesso Koreeda, Still Walking, Ritratto di famiglia con tempesta, e in tanto altro cinema, come in Il mio vicino Totoro.
La serenità dei Shibata si cristallizza in quell’immagine di loro, felici, sulla spiaggia. Ma in arrivo è una nuova tempesta che a sua volta ne scoperchia altre, del passato, che ricombinano i modelli famigliari di Koreeda, le sue famiglie tronche ozuiane. Nella passato della famiglia è avvenuto un omicidio, un trauma che i genitori raccontano ancora con serenità. Ma interviene ora la macchina giudiziaria ufficiale e gli assistenti sociali che dispongono della vita dei figli. Da Like Father, Like Son ora il film di Koreeda si avvicina a quello precedente, The Third Murder, virando nella crime story e affrontando i temi del delitto e del castigo. A fare da epilogo una nuova tempesta è passata, è tornato l’inverno e una coltre di neve cospicua copre tutto, si possono fare anche i pupazzi di neve. Un epitaffio della vita dei personaggi, ma tornerà una nuova primavera.

Giampiero Raganelli

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