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Shark – Il primo squalo

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VOTO: 5

Megalodon vs. Jason Statham

Ormai dalle parti di Hollywood – in questo caso con il robusto supporto produttivo cinese, come si evince dai nomi del cast e dalle locations – girano gli action catastrofici con o senza creature mostruose in modalità simil-pornografica. Nel senso che qualunque altro fattore (storia, recitazione eccetera) passa decisamente in secondo piano rispetto alle dimensioni iperboliche del o dei protagonisti “esterni”. Dopo Rampage – Furia animale in cui giganteschi animali mettevano Chicago a ferro e fuoco con Dwayne Johnson a metterci una pezza ed il recentissimo Skyscraper, ambientato nel grattacielo più alto del mondo assediato dai mercenari e ancora col Johnson medesimo a combattere per la salvaguardia della famiglia, non poteva mancare uno squalo di origine preistorica della lunghezza di ben ventisette metri. Ed è infatti lui – anche se sarebbe più appropriato parlare di loro – il protagonista “bestiale” che, opposto al personaggio interpretato dall’eroe di turno Jason Statham, dà vita allo scontro senza quartiere che è al centro di Shark – Il primo squalo, giocattolone estivo firmato, dopo vari slittamenti di mano, da Jon Turteltaub. E non è affatto casuale che sia il titolo italiano che quello originale – The Meg, abbreviazione di Megalodonte – pongano al centro dell’attenzione proprio il presunto “mostro” da combattere.
L’impatto drammaturgico di Shark – Il primo squalo dura esattamente qualche minuto, cioè il tempo di mostrare un prologo nel quale Jonas Taylor (Statham, appunto), esperto in missioni di salvataggio nelle profondità marine, è costretto ad una scelta, sempre scaturita dall’incontro con lo squalo gigante, che porterà al sacrificio di diverse persone. Da qui in poi si capisce presto come il film di Turteltaub – di suo shooter anonimo al pari di pochissimi altri, capace di frequentare generi tra loro assai differenti (dal romanticismo strappalacrime di Un amore tutto suo all’avventuroso in stile Indiana Jones Il mistero delle pagine perdute, tanto per citare qualche esempio) senza mai lasciare traccia alcuna di sé – non si prenderà mai più sul serio, rinforzando anzi, si fa per dire, il plot con una serie di stereotipi narrativi talmente evidenti, nonché privi di reale rielaborazione, da rendere l’insieme alquanto prevedibile. Per la soddisfazione di quel tipo di spettatore al quale piace andare sul sicuro ecco dunque atti di eroico altruismo a iosa, un miliardario bombarolo in stile Trump destinato ad ovvia fine, bambine tanto dolci quanto intelligenti in ansia per le sorti di mamma, piccoli complessi edipici da superare agevolmente e persino accennati momenti di screwball comedy tra Statham e Bingbing Li, star cinese ingaggiata per chiare esigenze commerciali. Inutile poi sottolineare chi prevarrà nel combattimento senza quartiere tra super-uomo e la sua super-nemesi. Peccato allora che Shark – Il primo squalo si ponga in un’ipotetica posizione equidistante tra la nobiltà artistica de Lo squalo spielberghiano e la demenzialità pura dei vari Sharknado targati Asylum: come a dire che si arresta nel bel mezzo di un immaginario guado senza essere né carne e nemmeno, già che siamo in tema, pesce. La spettacolarità non manca, qualche sequenza risulta pure efficace (il primo assalto di Meg al centro marino in superficie), la computer grafica non fa venire brividi di terrore per la qualità della realizzazione e Shark – Il primo squalo assolve il suo compito di regalare al pubblico boccheggiante nell’afa estiva quelle due ore scarse di intrattenimento omogeneizzato con annesso (si spera) refrigerio da aria condizionata. Rimanendo però ben consapevoli che il cinema, quello vero, è tutta un’altra cosa. Anche e soprattutto quello erroneamente definito di serie B.

Daniele De Angelis

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