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Rampage – Furia animale

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VOTO: 5.5

Quando anche Madre Natura, nel suo piccolo…

Appare subito evidente, alla visione di Rampage – Furia animale, un paradosso temporale così stridente da non avere diritto di asilo nemmeno nella saga di Ritorno al Futuro. La questione è la seguente: se il suddetto film fosse stato realizzato negli anni cinquanta o sessanta, magari in bianco e nero e con effetti speciali artigianali, oggi, nell’anno di poca grazia 2018 sarebbe certamente considerato un classico della fantascienza catastrofica. Ed è infatti ben evidente, da parte degli autori della sceneggiatura (ben quattro, tra i quali il Ryan Engle autore dello script del recente L’uomo sul treno con Liam Neeson e il Carlton Cuse della celeberrima serie televisiva Lost), la fascinazione per un certo cinema di genere d’antan, per l’occasione declinato in ogni possibile stereotipo. Eco-revenge in piena regola, Rampage, sin dalle didascalie iniziali, mette in guardia a proposito di una tecnologia fuori controllo, pronta a stimolare l’inevitabile reazione di Madre Natura. L’espediente è dunque elementare come in quel tipo di opere in cui funeste radiazioni facevano ad esempio ingigantire ragni nel deserto del Nevada (Tarantula di Jack Arnold, 1955). Rispondono allora all’appello l’eroe buono, esperto di primati nonché dotato di fisicità e senso dell’umorismo (Dwayne Johnson, “The Rock”), giovani e gentili scienziate onniscienti (Naomie Harris), l’ottusità dei militari pronti a bombardare qualsiasi cosa movente di fronte a fenomeni per loro inspiegabili, una forma di capitalismo quanto mai bieca che, oltre ad essere la causa della situazione – improvviso ingrandimento di creature altrimenti tranquille nei rispettivi habitat – cerca pure di sfruttare ad ulteriori fini di lucro il caos assoluto da loro improvvidamente provocato.
Insomma, viste le premesse, materiale buono per trascorrere due ore scarse di puro e divertente relax ci sarebbe anche. Se non fosse che il regista Brad Peyton, di suo pressoché impeccabile confezionatore di pseudo blockbuster gonfiati ad estrogeni (per citare un paio di titoli Viaggio nell’isola misteriosa, 2012 e San Andreas, 2015), non lasci trasparire nell’apocalittica ultima parte tutta la natura video-ludica dell’operazione, ispirata proprio da un popolare videogame. Dunque sotto con la distruzione di una metropoli come Chicago senza lo straccio di un approfondimento dei personaggi, mettendo in scena una sorta di King Kong versus Godzilla senza nessuna logica narrativa e anzi incappando, peraltro, in una serie impressionante di doppi o tripli finali del tutto superflui che abbassano sensibilmente la qualità media di Rampage. Del quale comunque darebbe snobistico negare l’efficacia nei confronti del pubblico al quale si rivolge, ovvero adolescenti affamati in egual misura di pop corn e social network, attraverso i quali emettere un qualsiasi giudizio sul film.
Rimane all’attivo, a mo’ di curiosità stavolta poco filologica, l’unica caratterizzazione decente di Rampage, cioè quella del gorilla albino – quindi già dotato di una certa diversità di suo – chiamato George, in grado di padroneggiare con un senso dell’umorismo trivialmente geniale un linguaggio dei segni insegnatogli in modi del tutto differenti dal proprio istruttore Dwayne Johnson. In tutta sincerità raramente si è assistito ad una variazione sul tema dell’ “atipico Alvaro Vitali” di queste dimensioni. E dunque appare pertinente, sia pure con una certa dose d’ironia, la tagline del film, “Non esistono più le mezze misure“. Nulla di più vero, purtroppo.

Daniele De Angelis

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