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Skyscraper

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VOTO: 5.5

Fiamme verso il cielo

Quando un regista specializzato in commedie come Rawson Marshall Thurber decide di saltare a pie’ pari verso il cinema d’azione, in linea di massima sarebbe più che lecito attendersi una contaminazione tra i due generi. Del resto era già in parte accaduto con la sua precedente fatica, il poco visto Una spia e mezzo (2016), avente come protagonista sempre il massiccio Dwayne Johnson, peraltro assiduo frequentatore di lungometraggi in grado di abbinare azione e ironia. Al contrario questo Skyscraper (che significa laconicamente grattacielo) si prende molto sul serio, limitando l’ironia a piccole dosi omeopatiche dal tenore involontario, a partire dal sorprendentemente drammatico prologo. Resta comunque questa, purtroppo, l’unica variabile più o meno inattesa del film in questione, il quale per il resto non fa altro che adagiarsi sui binari tipici del sottogenere “eroe versus resto del mondo”.
Pensi ad un grattacielo in distruzione, insomma, ed il primo riferimento cinefilo che viene in mente è il paragone con il primo Die Hard (dalle nostre parti conosciuto con il titolo di Trappola di cristallo, 1988), autentico paradigma dell’action confezionato dall’ottimo Jonn McTiernan l’anno seguente il successo planetario di Predator. Non ci si sbaglia. Perché la struttura narrativa di Skyscraper gli somiglia molto. Siamo ad Hong Kong, dove un magnate del luogo ha costruito un iper-avveniristico grattacielo che può fregiarsi del titolo di costruzione più alta del mondo. Il problema è che la magniloquenza economica calamita sempre molti nemici ed è fatto pressoché inevitabile che una banda di mercenari assalti il grattacielo mettendo fuori uso i sofisticati sistemi di sicurezza. Meno male che si palesa ben presto la presenza di Will Sawyer (appunto il nerboruto Dwayne Johnson), appena assunto dal ricco orientale come esperto in materia, nonché appena trasferitosi con moglie e due intraprendenti gemelli nel cuore della sofisticata struttura.
Inutile raccontare oltre di Skyscraper poiché trattasi di film appartenente ad un immaginario già visto, rimasticato e predigerito. In tali opere ovviamente non conta il cosa si racconta ma il come. Ossia il modo in cui si sviluppa un canovaccio altamente prevedibile. Ma anche in questo caso i conti tornano poco. Va bene il citazionismo estremo come propellente del cinema contemporaneo, ma Rawson Marshall Thurber, nella fattispecie, compie un vero e proprio abuso, mutuando senza ritegno situazioni dal prototipo e ingolfando il film di effetti speciali in computer graphic che alla lunga non possono altro che far scattare lo sbadiglio, tanto monocordi sono fatti e personaggi nel film rappresentati. Se si eccettua la partecipazione attiva della moglie di Will Sarah – in perfetto ossequio alla parità dei sessi, tra l’altro interpretata da una Neve Campbell disposta all’autodifesa addirittura in misura maggiore di quanto facesse nella saga Scream – rispetto a Die Hard manca sia un’adeguata caratterizzazione dei cattivi che soprattutto uno sfruttamento “politico” del grattacielo come simbolico tempio di un capitalismo ormai senza freni. E il tutto si riduce così ad una mera questione formale dalla quale scaturisce soltanto un effetto saturazione. Una spettacolarità fine a se stessa che appagherà i gusti di coloro che pagano il biglietto aspettandosi un centinaio di minuti di acrobazie funamboliche ed esplosioni, ma deluderà tutti gli altri, quelli che, soprattutto ai film cosiddetti di genere, chiedono sempre uno scatto in avanti, qualcosa che riesca a distinguerli dalla massa. Nonostante allora la confezione inappuntabile – tanto per dire la fotografia è di Robert Elswit, in passato spesso collaboratore di Paul Thomas AndersonSkyscraper resta la classica uscita estiva destinata ad essere ricordata solamente per il refrigerio dell’aria condizionata in sala. Un po’ in contrasto con il calore sprigionato dalle fiamme immortalate dai vari maxi-schemi, ma fa parte del gioco.

Daniele De Angelis

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