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Seoul Station

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VOTO: 8

Prima di quel maledetto treno per Busan

All’ultima edizione del Festival di Roma era stato possibile vedere in anteprima Train to Busan, già enormemente apprezzato dal pubblico di Cannes 2016: primo lungometraggio live-action del coreano Sang-ho Yeon, nonché zombie movie dal ritmo incalzante e dalle non trascurabili implicazioni politico/sociali.

Quel treno non si è più fermato. Lo abbiamo ritrovato infatti a Trieste, dove Science + Fiction ha saputo rendere ancora più gustoso l’appuntamento, abbinando alla proiezione di tale lungometraggio quella del prequel animato, Seoul Station. L’intera operazione ha svelato così tutte le sue potenzialità, considerando che Sang-ho Yeon proprio come regista di animazione (cfr. The King of Pigs – 2011 – e The Fake – 2013) si era affermato a livello internazionale, in questi anni.

Questo immediato “ritorno alle origini” della propria vena creativa ha coinciso, tra l’altro, con una proficua integrazione e persino con il potenziamento delle già valide tracce esplorate in Train to Busan. Con un occhio rivolto in maniera ancora più energica alla poetica di Romero, Seoul Station racconta la lunga notte in cui, portata da un vecchio malmesso, l’infezione comincia a dilagare nella stazione ferroviaria di Seoul e nelle zone adiacenti. L’azione precede di qualche ora, quindi, la partenza di quel maledetto treno per Busan, il cui viaggio viene poi raccontato con dovizia di (truculenti) particolari nel lungometraggio live-action.

Ciò che del film d’animazione colpisce in positivo è innanzitutto la coralità delle storie: Sang-ho Yeon riesce ad affrescare diversi personaggi emblematici, rappresentativi di classi sociali e condizioni esistenziali diverse, facendone incrociare i destini con una certa maestria narrativa. Ma non è soltanto questo. Il passaggio dal microcosmo individuale a istanze collettive delicate e complesse è qui persino più deflagrante. Ci sono svariate scene in cui il cinismo omicida delle autorità sudcoreane, fatto uscire allo scoperto dal dilagare del contagio, si manifesta in modo crudele spostando gradualmente l’obiettivo dall’apocalisse zombi in sé all’eco profonda di una realtà poco o nulla solidale, militarizzata, iper-competitiva e fondamentalmente priva di pietas. A Sang-ho Yeon si può magari contestare una tecnica di animazione e una cura dei fondali non al passo dei più importanti studi giapponesi, o americani, ma il taglio così espressivo e umano con cui sono raffigurati i personaggi ha gioco facile nel compensare, assieme a una regia spiccatamente cinematografica, certi limiti e debolezze. Anzi, con dalla sua uno script così pungente e studiato, abbinandovi poi un tratto grafico estremamente calzante, il regista coreano è senz’altro abile nel delineare una parabola orrorifica che regala fosche emozioni dall’inizio alla fine.

Stefano Coccia

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