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Scarecrow

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VOTO: 6.5

Liberaci dal male

«Da un grande potere derivano grandi responsabilità». Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase e quante volte da Spider-Man in poi è stata utilizzata per sottolineare il conflitto interiore che si viene a creare in quegli esseri – umani e non – dotati di qualsivoglia super-potere. Per molti di loro rappresenta un dono, per molti altri una condanna. In questa seconda categoria rientrano quei personaggi come la protagonista di Scarecrow, una taumaturga, un’eremita, una santa folle e un’alcolista, che ha rinunciato a se stessa ormai molto tempo fa. Le persone la evitano e la temono, ma continuano a bussare sommessamente alla sua porta, perché solo lei è in grado di risolvere qualsiasi problema. Sa bene che il dono della sua grazia salvifica la sta distruggendo. Eppure, nonostante ci provi, non riesce a fermarsi. Altri primi di lei, come la Baba Vanga dell’omonimo film della polacca Aleksandra Niemczyk o la Annie Wilson del The Gift di Sam Raimi, hanno dovuto fare i conti con tale condizione, lottando con se stessi e contro il mondo circostante quasi fosse una strega da mandare al rogo.
La protagonista dell’opera seconda di Dmitrii Davydov, presentata in concorso nella sezione “Panorama Internazionale” della 12esima edizione del Bif&st, prova a sopravvivere in un ambiente a lei ostile. La sua è una lotta quotidiana per farsi accettare dalla gente del luogo, ma anche interiore, con se stessa e il senso di colpa per avere abbandonato una figlia alla nascita, la stessa che nell’arco temporale coperto dal film proverà a ritrovare.
Il se, come, dove e quando avverrà lo lasciamo ovviamente alla visione. Una cosa però è certa, in entrambi i casi sarà per lei un percorso lungo e doloroso, che la porterà ad affrontare persone e situazioni emotivamente e fisicamente logoranti. Il ché la condurrà lungo un lento e graduale percorso di auto-distruzione. Il risultato è un’opera ansiogena e disturbante, le cui derive drammatiche e venature orrorifiche creano un forte disagio nello spettatore. Strascichi, questi, che accompagnano il fruitore durante e dopo la fruizione. Sta qui la forza e al contempo il tallone d’Achille di Scarecrow, ossia nell’impatto che certe dinamiche hanno sul pubblico. Se da una parte, grazie alla potentissima e dolorosa interpretazione di Valentina Romanova-Chyskyyray e a una regia aggressiva che punta prepotentemente sul fuori campo, il film scava in profondità lasciando segni del suo passaggio nella mente e nella retina. Dall’altra questi stessi elementi, quando spinti all’estremo, creano un rigetto in chi guarda ottenendo l’esito contrario. Dunque, a conti fatti, quella firmata del cineasta russo è un’opera animata da un “battaglia” intestina che fagocita lo spettatore, chiamato a decidere se lasciarsi travolgere o ripararsi in un angolo della sala in attesa che la tempesta passi. In un modo o nell’altro non è una visione che lascia indifferenti.

Francesco Del Grosso

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