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Ritorno alla vita

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VOTO: 3.5

Una tragedia filmica e non…

Difficile, a tratti doloroso, pensare che l’autore del meraviglioso Il sale della Terra, Wim Wenders, possa esserlo anche di Ritorno alla vita. Un film inspiegabilmente in 3D, con un filo narrativo debole, quanto scontato, a dirla tutta: irritante.
Protagonista James Franco, che interpreta il ruolo di Tomas, scrittore tormentato, con un potenziale che non riesce a esprimere.  All’inizio dei fatti, è tutto innevato. Un paesaggio canadese immerso nel ghiaccio, che fa venire quasi freddo.  A un tratto, lo scrittore fa un incidente con l’auto: un bambino rimane ucciso. Da qui in poi, la carriera artistica di Tomas prende il volo. Questo shock è per lui una molla scatenante. Tuttavia, nonostante il successo, il senso di colpa permane sulla pelle dello scrittore, mentre la madre del bambino, Kate, non trova pace. Eppure, trascorso l’inverno, la neve si scioglie e si “ritorna alla vita”.
Partiamo col dire che James Franco indossa un’unica espressione per tutta la durata del film. Forse, l’autocelebrazione che ormai lo caratterizza, deve aver ingessato i suoi muscoli facciali. Ma ritorniamo al film: l’unica nota positiva è Charlotte Gainsbourg, bravissima, anche quando i ruoli sono insignificanti, come balle di fieno in mezzo al deserto. Talento da vendere, buca lo schermo e si lascia ammirare. Lei, madre in lutto, cerca di superare questa tragedia a modo suo. Il regista dipinge un arco temporale di circa dodici anni, fotografando i cambiamenti emotivi dei protagonisti.  Tutto questo in cento minuti di noia totalizzante e un finale prevedibile, sin dai titoli di testa; anche la colonna sonora stona.
Wenders vuole sperimentare l’immagine filmica e ci riesce con quadri meravigliosi, a scapito della pazienza dello spettatore: ai titoli di coda, dormivano quasi tutti. Il problema nasce con la sceneggiatura perché al film manca una struttura solida. Queste immagini bellissime sembrano buttate nel mucchio, anche un po’ a casaccio. La trama è giusto una scusa: un semplice raccoglitore di belle fotografie.
L’autore, in questa tragedia filmica e non,  riflette sui meccanismi che rendono Tomas produttivo, all’alba di forti emozioni. La morte del bambino risveglia il protagonista dal sonno artistico. Tuttavia, nonostante la ritrovata ispirazione, lo scrittore potrà realmente abbandonare le tenebre, quando anche la sua coscienza sarà redenta: perché successo non significa serenità.  In tutto ciò, vediamo Tomas costruirsi una stabilità affettiva, mentre conserva un legame al quanto ambiguo con Kate. Si creano dinamiche malate, dove il dolore è troppo e insormontabile. E finalmente si avvicina il centesimo minuto e si procede verso il finale “telefonato” di un film insostenibilmente tedioso.

Federica Bello

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