Trovato morto il mago del fotovoltaico
Con il ritorno alla regia del romano Tonino Zangardi (ci sono Allullo drom – L’anima zingara, L’ultimo mundial e Sandrine nella pioggia, tra le sue opere antecedenti), si vanno a esplorare nuovamente i territori ricchi di insidie del cosiddetto amor fou. Ma di folle, in L’esigenza di unirmi ogni volta con te, sembrano esserci soprattutto il titolo e la sceneggiatura. Riguardo a quest’ultima, elaborata assieme a Beba Slijepcevic e Angelo Orlando dallo stesso Zangardi, sulla falsariga del romanzo da lui precedentemente pubblicato con RCS Libri, poco convincente appare il tentativo di mescolare vorticosamente eros, melodramma, atmosfere da poliziesco e una rocambolesca quanto improbabile fuga on the road.
Veniamo, come si suol dire, alla fredda cronaca. La protagonista Giuliana lavora in un supermercato pur non avendone necessità, giusto per avere una vita propria e non fare solo la “mantenuta”, essendo comunque sposata a Martino, il famoso/famigerato “mago del fotovoltaico” di origine francese, che tanto ha colpito il nostro immaginario. Vivono a Tricase, Puglia, dove conducono una vita senza troppi scossoni, fino a quando Giuliana viene folgorata dall’incontro con il bel Leonardo, un poliziotto che sorveglia l’esercizio commerciale presso il quale lavora. Nell’istante in cui due rapinatori cercano di svaligiare il supermercato Leonardo interviene insieme a un collega e, mantenendo il sangue freddo, riesce a salvare Giuliana: dalla calma piatta della sua quotidianità la donna vedrà così riemergere i propri istinti più passionali, e in breve tempo le sue resistenze di fronte al prestante e coraggioso agente cadranno, ponendo il fino ad allora quieto, monotono consorte davanti a una situazione inaspettata; situazione che, peraltro, condurrà l’apparente placidezza dell’uomo verso gesti inconsulti e pericolosi, cui porre un argine in modo deciso… un modo persino troppo energico e definitivo, a voler essere sinceri.
Per farla breve, questo mediterraneo e assolato melodrammone coniugale comincia a scricchiolare anche solo per le evidenti disparità interpretative. Tra le figure principali del racconto la sola Claudia Gerini, nei panni di Giuliana, assicura con una azzeccata miscela di fragilità e naturale erotismo il tono giusto al suo personaggio, per quanto anche lei sbandi un po’ nei dialoghi più drammatici offerti da uno script particolarmente incline a scivolare nel ridicolo. L’aitante Marco Bocci sforna invece un atletico poliziotto che pare preso dalla peggior fiction televisiva (come la fotografia, del resto). Ma è il francofono Marc Duret a irritare di più: a parte l’accento un po’ caricaturale, quel suo repentino passare da maritino perfetto a feroce picchiatore, in poche scene dalla tempistica sconcertante, risulta accompagnato da una specie di monologo biascicato e schizoide, come neanche Gollum ne Il signore degli anelli.
Altri appunti ci sarebbero da fare. Di salvabile nel film ci sono la colonna sonora composta dai Mammooth, senza dubbio efficace, più alcuni personaggi secondari, come l’altro sbirro interpretato da un filosofeggiante Antonio Iuorio, le cui dissertazioni sul genere femminile sono da applausi a scena aperta. Troppo poco, comunque, per tenere in piedi una baracca così traballante.
Stefano Coccia