Wenders racconta Salgado che fotografa il mondo
Approda finalmente nelle sale il documentario che Wim Wenders, al Festival di Roma, ha potuto commentare dal vivo di fronte a un pubblico attento, aggiungendo ulteriori elementi di interesse alla decisione, in sé pregevole, di comporre un ritratto cinematografico del fotografo brasiliano Sebastião Salgado. Diretto assieme al figlio dell’artista, Juliano Ribeiro Salgado, Il sale della Terra (The Salt of the Earth) ci offre innanzitutto la conferma di quanto la sensibilità di Wenders per le produzioni documentarie sia superiore, al momento, a quella espressa nelle opere di finzione. Tale, quantomeno, sembrerebbe il leitmotiv affermatosi nell’ultimo decennio. E se da questo punto di vista Pina (lungometraggio in 3D realizzato nel 2011) ci aveva piacevolmente stuzzicato, con Il sale della Terra il coinvolgimento può dirsi totale. Sì, perché su una poetica delle immagini di grande maturità espressiva sono andati a depositarsi temi ponderosi, a tratti persino deflagranti. Come le tappe sconvolgenti e funeste del genocidio in Ruanda o lo sfruttamento del lavoro umano in America Latina.
Praticamente un raddoppiamento della visione. Appoggiandosi con tatto e reale empatia allo spessore antropologico caratteristico di tale ricerca fotografica, compiuta in giro per il mondo durante vari decenni, e mettendosi in gioco – come già altre volte – in prima persona, Wenders è riuscito a dar vita a un documentario davvero monumentale. Basti pensare alle sequenze iniziali. Stimolati anche dai ricordi del fotografo, ci si immerge in uno dei suoi reportage dall’impronta iconica più forte e pregnante: gli scatti relativi a fiumi di persone che sprofondano volontariamente, moderni schiavi, nelle miniere d’oro a cielo aperto del Brasile, possono far pensare a immagini bibliche come a qualche incisione tedesca o fiamminga di secoli passati. E nel riprodurre sullo schermo tale esperienza Wenders si fa quasi “herzoghiano”. Accompagnando poi con mirabile maestria compositiva l’opera di Sebastião Salgado, così come si è dipanata negli anni, i due cineasti ne seguono lo sviluppo artistico e umano finendo anche per indagarne con pudore gli aspetti più intimi, sicché i toni non possono che diventare plumbei allorché ci si rapporta alle grandi tragedie di fine Novecento da lui testimoniate, in primis i feroci conflitti interni che hanno devastato il continente africano. Ma proprio quando l’oscurità dell’animo umano appare più impenetrabile, il film regala un flebile lumino, segnali di speranza. L’ultimissima parte de Il sale della Terra è infatti dedicata al progetto di rimboschimento e di recupero del territorio, avviato sempre in Brasile, di cui l’intera famiglia del fotografo si è fatta promotrice, rigenerando in parte quelle importanti aree boschive che le speculazioni capitaliste avevano ridotto a lande desolate. Anche in questo, il lavoro cinematografico di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado sa esprimere con forza sia l’impatto del paesaggio che l’attiva presenza dell’uomo.
Stefano Coccia