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(Re)Visioni Clandestine #52: La notte che Evelyn uscì dalla tomba

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Il cul…to della Blanc

Negli Stati Uniti il thriller La notte che Evelyn uscì dalla tomba (1971) di Emilio P. Miraglia è una delle pellicole italiane – partorite dal cinemabis– assurte a vero culto, e molto probabilmente il motivo di questo osanna è dovuto all’accattivante manifesto americano, che mostra la Evelyn del titolo tenere per mano una testa mozzata. Astuzie – e fregature – del marketing yankee, perché è vero che viene tradotto letteralmente il titolo italiano (The Night Evelyn Come Out of the Grave), ma basandosi sull’assunto evocato, si crea una scena che non esiste nella pellicola e pertanto si fa credere agli spettatori corsi a frotte che sia un horror grandguignol. I due poster nostrani, invece, espongono il vero contenuto della pellicola, ovvero un forte thriller con al centro diverse fascinose donne. La venerazione che abbraccia il film di Miraglia, che uscì nelle sale americane accompagnate dai “Bloodcorn” (Pop Corn rosso sangue), tocca persino punte feticiste, perché molti fan adorarono – e ancora mitizzano – i lunghi stivali di pelle nera indossati da una discinta Erika Blanc (Susan, provocante ballerina di striptease), tanto che molti farebbero follie per averli e poterli accarezzare.

L’alone di culto è molto inferiore qui in Italia, anche se ci sono molti fan che posizionano la pellicola tra le migliori del suo genere. La notte che Evelyn uscì dalla tomba più che per gli insiti meriti (quasi zero) o demeriti (troppi), diviene un film più interessante se lo si contestualizza nel periodo in cui fu distribuito, vera e propria epoca d’oro dei gialli e dei thriller. Sceneggiato da Massimo Felisatti e Fabio Pittorru, due maestranze che hanno bazzicato quasi tutti i generi e si sono anche cimentati, con scarsi risultati, alla regia, imbastiscono una trama che unisce il giallo gotico e il thriller di Dario Argento, andando a formare un “ibrido”. Mentre il primo elemento (l’ambientazione nel castello, gli strani accadimenti metafisici, le torture medievali) era ormai agli sgoccioli, dopo il boom negli anni Sessanta, il secondo elemento (l’efferatezze degli omicidi, l’assassino misterioso inquadrato soltanto nei particolari, il finale a sorpresa che svela l’inganno) è un diretto derivato de L’uccello dalle piume di cristallo (1970) di Argento, pellicola con la quale s’impose perché rinnovò il modo di impostare il thriller, tanto che ebbe uno straordinario successo anche negli Stati Uniti e infinite imitazioni (persino Brian De Palma ha scopiazzato). La notte che Evelyn uscì dalla tomba, però, non è definibile come un film ponte, ossia di passaggio tra due maniere di costruire il giallo, ma è molto più probabile che gli stilemi argentiani siano stati inseriti dopo aver constatato l’enorme esito commerciale dell’esordio di Argento. Se l’aspetto gotico è logoro, proprio perché già troppo visto, con vaghe reminiscenze di La tomba di Ligeia (The Tomb of Ligeia, 1964) di Roger Corman o Il boia scarlatto (1964) di Massimo Pupillo (le torture), l’espediente argentiano è soltanto un ricalco scialbo dell’originale, non accompagnato dalle visionarie intuizioni tecniche del regista romano. Sono escamotage che possono funzionare a una prima visione, perché si è curiosi di sapere come finisce, ma certamente gli attori, per nulla espressivi, non aiutano a entrare nell’atmosfera, e la regia di Miraglia, che poi realizzerà uno pseudo seguito La dama rossa uccide sette volte (1972), è piatta e per nulla avvincente. Rimane lo splendore, con concessione di nudo, della Blanc, che fa la sua apparizione uscendo fuori da una bara mostrando prima di tutto il suo splendido fondoschiena.

Roberto Baldassarre

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