Leonardo Sciascia filtrato da Pier Paolo Pasolini
Walter Veltroni apriva il suo editoriale “Se si spreca il vantaggio” (Corriere Della sera, 16 ottobre 2020) menzionando Todo modo (1976) di Elio Petri, poiché lo riteneva perfetta metafora per descrivere l’atmosfera creatasi con la pandemia e di come i politici hanno (re)agito a tal proposito. Citava in particolare le prime scene, in cui la camera car (che è l’auto del Presidente) segue un’ambulanza dai cui altoparlanti si avvisa della criticità dell’epidemia, invitando le persone a vaccinarsi. Veltroni inoltre riteneva che il ritiro spirituale di quel gruppo di politici nell’hotel Zafer, rappresentasse in un certo qual modo l’alienazione dei governanti odierni, occupati soltanto ai propri interessi di potere e completamente avulsi dalla realtà che li circonda. Un recupero cinefilo dotto e affascinante quello di Veltroni, però Todo modo non va interpretata come una pellicola premonitrice, poiché è un’opera strettamente legata a quel periodo storico-sociale, un “istant movie” con cui Petri estremizzava il suo pessimismo attraverso una messa in scena che unisce il grottesco (i personaggi) e il metafisico (l’ambientazione).
Tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, edito da Einaudi nel 1974, la trasposizione di Elio Petri, coadiuvato in sede di sceneggiatura da Berto Pelosso, coglie soltanto alcuni aspetti del libro, per poi puntare maggiormente verso una spietata accusa alla classe politica italiana, nello specifico alla dirigenza della Democrazia Cristiana. L’Italia stava vivendo in pieno la “Strategia della tensione”, e la DC, per quanto ancora al comando, cominciava a mostrare delle crepe, per i primi grandi scandali pre-tangentopoli (Scandalo Lockheed) e a causa dei dissidi delle correnti interne. “Todo modo” di Sciascia, di per sé atto d’accusa alla politica, con la trasposizione di Petri acquista anche la ferina fisionomia del processo richiesto da Pier Paolo Pasolini sulle pagine de Il Mondo: “Bisognerebbe processare i gerarchi DC” (28 agosto 1975). Questa connessione con l’editoriale di Pasolini è ravvisabile dall’implacabile messa in scena, fatta con toni crudeli (la prepotenza dei personaggi e la violenza che subiscono i medesimi) e cupi (la fotografia di Luigi Kuveiller ha tonalità perennemente grigie). Quello che ci viene mostrato non è un futuro prossimo, ma un presente distopico, alimentato dall’onnipresenza di schermi televisivi dislocati nell’hotel che trasmettono omelie. All’esterno dello Zafer c’è un’epidemia sconosciuta, mentre i rappresentanti del potere (tutte figure brutte e incattivite) sono bellamente rinchiusi in un hotel, che ha le fattezze di un bunker (la sala delle riunioni è situata sotto terra, e i muri sono ancora grezzi), per ripulirsi la coscienza, ma in realtà sono là per aumentare il proprio potere all’interno del partito. Un ritiro spirituale per tanto totalmente ipocrita, poiché tutti i rappresentanti, sebbene esprimano la loro devozione alla religione con preghiere e baciamano al Cardinale o a Don Gaetano (Marcello Mastroianni), sono tutti peccatori (principalmente avidi e ladri), e che anzi non si pentono dei loro misfatti, e si accusano vicendevolmente. Ad esempio, quando l’onorevole Voltrano (Ciccio Ingrassia) afferma davanti a tutti che digiunerà per penitenza (da intendere non come atto di umiltà, ma come azione propagandistica), non tutti aderiranno, poiché non si sentono affatto colpevoli. I personaggi, sebbene maschere grottesche, sono una sferzante rappresentazione dei politicanti veri, in particolare il Presidente (Gian Maria Volontè), somigliante nell’aspetto e nelle movenze ad Aldo Moro. Non a caso il finale è stato interpretato come sorprendente anticipazione di quanto accadrà nel 1978, e fu questo il motivo principale dell’oblio che subì Todo modo per moltissimi anni. Il personaggio di Don Gaetano, guida spirituale rispettata e temuta da tutti, è la rappresentazione della chiesa temporale, sempre più ingorda di potere e manipolatrice della politica. Todo modo – romanzo e film – nell’allestire questo truce processo, sfrutta ampiamente la struttura del giallo alla Agatha Christie, con le uccisioni dei politici che sono l’unica soluzione possibile per una vera pulizia dentro al partito. Benché Todo modo segua e in un certo qual modo amplifichi quel livore di Petri contro i centri del potere, è un film che soffre di questa pesantezza accusatoria, a tratti inutilmente sgradevole. Quello che si apprezza, invece, è il cast di attori. E se Volontè eccelle, Mastroianni sa essere allo stesso livello. Sorprendente, invece, l’interpretazione di Ciccio Ingrassia, che conferma le sue doti drammatiche.
Roberto Baldassarre