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(Re)Visioni Clandestine #24: Mary Poppins

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“Bloody” Mary

Mary Poppins è morta!
(Felix Farmer in S.O.B.)

Su internet gira un goliardico fotomontaggio porno con protagonista Mary Poppins. La prodigiosa tata non riesce a pronunciare completamente la parola magica “Supercalifragilisticexpialidocious”, perché intenta a…. Purtroppo, per ovvi motivi, non si può inserire questa divertente foto su Cineclandestino, e tanto meno completare la descrizione della piacevole azione in atto, ma questo fotomontaggio bizzarro, alla sua maniera, da un lato è iconoclastia spicciola e greve, ma dall’altro certifica l’importanza nell’immaginario collettivo della pellicola Mary Poppins (idem, 1964) e della sua incantevole protagonista Julie Andrews (oltre a parodiare l’enorme difficoltà di pronunciare, senza commettere alcun errore, l’allegro refrain “Supercalifragilisticoespialidoso”). Ormai sono passati oltre cinquant’anni da questo cult buonista prodotto dalla Disney, e gli spettatori piccini di allora sono ormai cresciuti da un pezzo, non è da escludere che uno di loro è stato il creatore del famigerato fotomontaggio.

Nel 1981 Blake Edwards realizzò il caustico S.O.B., il cui acronimo può essere interpretato come “Son of Bitch” o “Standard Operation Bullshit”. La pellicola era un acidissimo attacco contro Hollywood (una resa di conti personale, con riferimento alla pellicola manomessa Darling Lili da parte della Paramount). Il regista Felix Farmer, affranto dal mega disastro della sua ultima pellicola, rinsavisce durante un’orgia improvvisata da altri nella sua casa a sua insaputa e ha l’intuizione di realizzare un musical pieno di sesso. La protagonista è la rispettabile e applaudita Sally Miles, interpretata dall’osannata Julie Andrews, cioè l’attrice che interpretò Mary Poppins. Chiaramente è una sofisticata citazione in cui la finzione della pellicola si riallaccia alla vera carriera artistica di Julie Andrews, che proprio con quel ruolo divenne famosa. In ben due momenti di S.O.B. l’iconico personaggio della tata viene tirato in ballo nei dialoghi per essere smerdato, e l’ultima ferina stoccata avviene visivamente, nel momento in cui la Andrews mostra le gloriose tette (unico “nudo” della sua carriera). Questo denudamento fu in un certo qual modo uno scandalo, come se alla Statua della Libertà alzassero la gonna. In fin dei conti la Andrews dopo la pellicola della Disney aveva interpretato lo sdolcinato The Sound of Music (Tutti insieme appassionatamente, 1965) di Robert Wise, e precedentemente ebbe successo in teatro con il musical My Fair Lady, altra storia profondamente romantica. In pratica la Andrews era la rappresentazione di sobrietà e non di volgarità. Le tette esibite sono proprietà della Andrews, ma inevitabilmente si ritorna con la mente al fascino di Mary Poppins e di come, purtroppo, era troppo coperta di vestiti vittoriani che celavano un corpo femminino di grande splendore.

La realizzazione di Mary Poppins fu molto travagliata, e per maggiori informazioni su quanto lo Zio Walt dovette lottare con l’autrice Pamela Lyndon Travers per trasporre il romanzo si rimanda alla visione dell’edulcorato Saving Mr. Banks (2013) di John Lee Hancock e interpretato da Tom Hanks ed Emma Thompson. Le sette canoniche sette camicie che Disney dovette sudare, però, gli permisero di realizzare un funzionale prodotto che riscosse successo presso il cuore degli spettatori e che si aggiudicò ben cinque Oscar, di cui quattro per l’apparato tecnico e uno alla Andrews. Mary Poppins, giocosa favola musicale, era espressione di un cinema posticcio e finanche moralistico (benché la Poppins fosse trasgressiva avendo portato scompiglio, attraverso il buon umore, nella grigia Londra Vittoriana), e anche per questo motivo che il regista Felix Farmer (alias Blake Edwards) sbeffeggiava tale opera, che già nel 1964 era obsoleta rispetto alle correnti cinematografiche degli anni Sessanta. Con il passare del tempo la pellicola mostra maggiormente i suoi limiti, perché oltre a un eccedente dosaggio di melassa (Disney Touch), vi è il problema di una durata ormai eccessiva per il ritmo che vuole rappresentare, e che appunto ne rallenta la narrazione. Quel che è certo, con tutti i difetti riscontrabili, l’originale mantiene tuttavia un piccolo tocco genuino, e basterebbe soppesarlo con The Returns of Mary Poppins (Il ritorno di Mary Poppins, 2018) di Rob Marshall, che seppur realizzato con i migliori effetti speciali non riesce a dare calore favolistico al racconto. In Mary Poppins, però, c’è un momento cinematografico indimenticabile, cioè la piccolissima partecipazione dell’anziana Jane Darwell. La solitudine di questa donna in stato d’indigenza, attorniata solo da una frotta di piccioni, fa quasi pensare a un triste finale della vita di Ma Joad, che fu co-protagonista in The Grapes of Wrath (Furore, 1940) di John Ford, in cui la Darwell gli diede corpo e anima (e con cui si aggiudicò l’Oscar). Questa piccolissima apparizione è un enorme omaggio cinefilo degno di nota e vero tocco magico di Mary Poppins.

Roberto Baldassarre

P.S.: Esisterà veramente un porno che s’intitola Mary Pompins? O è un’altra goliardata da internauti?

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