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(Re)visioni Clandestine #18: Un eroe dei nostri tempi

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Un Sordi d’altri tempi

Allora se siamo arrivati a questo punto,
io prendo la bomba, la butto e sfascio tutto!
(Alberto Menichetti mentre discute con i colleghi)

Alberto Sordi è stato l’attore nostrano che ha saputo incarnare alla perfezione l’italiano medio. Nella sua estesa filmografia la maggior parte dei personaggi, a cui ha dato corpo, gestualità e parlantina, sono specchio di differenti tipologie del popolo. La particolarità è stata quella di accentuare i difetti, giungendo a pungenti punte d’immoralità, più che rilevare le virtù d’animo e d’intenti. In molti “mostri” sordiani ci si può rispecchiare facilmente, seppure ci si possa “offendere”. Col saper rappresentare l’italiano medio, però, non si vuole dire che le sue interpretazioni siano sempre state ottime e accorte, anzi, la maggior parte sono recitazioni manieristiche o, nei peggiori dei casi, inutilmente gigionesche. Nel suo libro “Alberto Sordi – L’Italia in bianco e nero”, Goffredo Fofi spiega con attenta analisi come nella carriera dell’attore ci sia un prima e un dopo; un primo momento di eccezionale bravura (e “innovazione” per il cinema italiano) e un dopo in cui sopravanza la mediocrità, con solo una manciata di ottime prove attoriali.

Un eroe dei nostri tempi di Mario Monicelli, realizzato nel 1955, rientra nella prima fase descritta da Fofi. Sordi era fresco degli enormi successi del demenziale Un americano a Roma di Steno (1954) e de Il seduttore di Franco Rossi (1954), ma era ancora incerto se la sua carriera avrebbe proseguito con altrettanta popolarità, essendo stati disastrosi i suoi primi ruoli da protagonista, come certificano gli esiti delle commedie Mamma mia, che impressione! di Roberto Savarese (e Vittorio De Sica non accreditato) del 1951 e Lo sceicco bianco di Federico Fellini del 1952. È vero che I vitelloni di Fellini (1953) ebbe un enorme successo, ma giovò soprattutto al regista riminese. Quel 1955 fu un fecondo anno per Sordi, avendo interpretato ben nove pellicole che ebbero buon consenso di pubblico, tra cui appunto Un eroe dei nostri tempi. La pellicola inizialmente doveva intitolarsi semplicemente “La paura”, che è il moto d’animo che muove, o per meglio dire rallenta, il protagonista Alberto Menichetti, un pavido italiano, ma con il cambio del titolo, che ha una forte sfumatura ironica (avallata dalla sequenza finale), la pellicola si trasforma in un ritratto più marcato dell’italiano medio (l’articolo indeterminativo).
Da un soggetto di Rodolfo Sonego (il cervello di Alberto Sordi, come recita l’omonimo libro di Tatti Sanguineti), e sceneggiato dallo stesso assieme a Monicelli, la pellicola è una commedia abbastanza riuscita, che anticipa di qualche anno la vera commedia all’italiana, che riuscirà sovente a fustigare con veemenza la società del Belpaese. Secondo le confessioni di Sonego, contenute nel monumentale libro di Sanguineti, gli spunti che fecero scaturire “La paura” furono due: il vero carattere codardo di Alberto Sordi, e il rigido periodo politico in cui si trovava l’Italia, sotto il tallone poliziesco di Mario Scelba (Ministro dell’interno). Il protagonista intagliato da Sordi, che fornisce un’interpretazione sobria e con poche esagerazioni, e marca il suo spostamento dalle macchiette a personaggi con una fisionomia radicata nella realtà, rispecchia pienamente l’italiano medio, tanto di allora quanto di adesso. Alberto Menichetti è certamente un mediocre, mosso solo da propositi individualisti (cioè non farsi del male anche a discapito degli altri), che galleggia nell’azienda in cui lavora e nella società italiana, ma a guardare attentamente è ben spalleggiato dai suoi due colleghi (Mario Carotenuto e Leopoldo Trieste), con cui discute animatamente sulle storture della società (quella in cui lavorano e il paese intero). Tutti e tre, però, non si azzardano a protestare, come ad esempio quando i facchini dello stabilimento in cui lavorano indicono uno sciopero. Questi demenziali chiacchiericci politici, assieme alle scene sulla celere e quella in ospedale con il padre chirurgo e suo figlio assistente (stoccata al nepotismo), sono frutto dell’ingegno di Sonego, che seppe con arguzia mettere l’accento sulle “particolarità” italiane (tanto di allora quanto di adesso).

Intorno a queste perspicaci intuizioni, che impreziosiscono Un eroe dei nostri tempi e permettono a Sordi di vestire i panni di un personaggio interessante e aderente alla realtà, ruotano altre scenette di comicità più semplice. Ci sono i duetti con Franca Valeri, che nel 1955 interpretò al fianco di Sordi anche Il segno di Venere di Dino Risi e Piccola posta di Steno, e le gags con Tina Pica, nel ruolo di una delle zie di Menichetti. Menzione a parte la scena in cui compare Fernando, interpretato da un giovane Carlo Pedersoli che sarà più noto come Bud Spencer. La scena in cui il massiccio Fernando attende sotto casa Menichetti, ricorda molto quella che si vedrà in Febbre da cavallo di Steno (1977), in cui Er pomata (Enrico Montesano) non può tornare a casa perché davanti al portone c’è il tarchiato er Ventresca (Giancarlo Gregorini) ad attenderlo minacciosamente.

Roberto Baldassarre

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