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Qua la mano, Bud

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Un angelo alla mia tavola, mangiando fagioli

Non una (impossibile?) rilettura critica della carriera di un attore sui generis, quanto più propriamente una strada da percorrere a ritroso, per cercare di comprendere meglio cosa ha rappresentato Bud Spencer per le generazioni che hanno visto i film da lui interpretati.

Chi è stato bambino – e cinefilo – a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta, avrà immaginato la seguente scena almeno una volta. Quel gigante buono con la barba nera che veniva a toglierti dai guai a suon di sganassoni nei confronti dei “cattivi”, per poi consumare con te un pasto rigorosamente a base di fagioli, salsicce od altre pietanze affini. Uno zio cinematografico burbero ma di enorme generosità, paziente ma con dei limiti ben precisi. Fategli saltare la mosca al naso e…
Fine del flashback della fantasia, ammesso che sia possibile. Bud Spencer – all’anagrafe Carlo Pedersoli, in gioventù grande nuotatore e primo italiano ad infrangere il muro del minuto netto sui 100 stile libero – se ne è andato alla veneranda età di ottantasei anni, serenamente come era vissuto, annuncia la famiglia. Impossibile non far calare un velo di tristezza lo stesso. Perché Bud Spencer, assieme al suo sodale Terence Hill, è stato, per molti di coloro che oggi discettano di cinema, un prezioso anello di congiunzione tra la visione ludico-infantile iniziale della Settima Arte e una sua lettura maggiormente consapevole. Nessuna vergogna ad ammetterlo, anzi: tutto è cominciato così. Con Lo chiamavano Trinità (1970) e …altrimenti ci arrabbiamo (1974), solo per citare due titoli (non) a caso. Film che non avevano una storia molto articolata da raccontare, ma che vivevano della presenza del nostro, in compagnia di Terence occhi azzurri a formare la “coppia perfetta” per l’entusiasmo di migliaia di ragazzini scalmanati che riempivano sale dove al tempo era permesso tutto, dall’entrare a metà film sino a commentare ad alta voce e persino fumare. Piccoli macro-organismi brulicanti di forme di vita incontenibili. Quindi Bud Spencer – che lui lo sappia o no, che la cosa lo gratifichi o meno, dovunque sia adesso – è stato una sorta di maieuta. Una levatrice anomala, barbuta e nerboruta che ha iniziato molti ultraquarantenni di oggi alla fruizione cinematografica. Spensierata ma non distratta. Con una visione del mondo in cui era facilissimo identificare buoni da leggenda e cattivi da barzelletta, dove le botte tramortivano ma non uccidevano, e di sangue non ne scorreva un rivolo. Un’altra dimensione, appunto. E tuttavia perfettamente capace di impartire il primo dettame di una simbolica educazione artistica: creare la meravigliosità di un mondo. Nonché separare, in una forma pedagogicamente rozza ma efficacissima, appunto il bene dal male.
Per questi motivi ed altri l’icona Bud è destinata a rimanere ben radicata nella memoria. Lo aveva capito Ermanno Olmi, affidandogli in età già piuttosto avanzata una parte di rilievo in Cantando dietro i paraventi (2003), bellissimo  e poetico apologo sulla stoltezza della guerra e la necessità assoluta della pace. Questo è stato Bud Spencer: un uomo che ha saputo fare della propria ingombrante stazza la sua leggerezza. Per far volare alta la fantasia altrui.
Alla domanda se Bud sarebbe diventato veramente Spencer senza il fatidico incontro con Terence Hill, verrebbe da rispondere di no, ad un primo impulso. Ma quante coppie devono le loro fortune artistiche alla reciproca abilità nell’integrarsi alla perfezione? Da Stanlio e Ollio in poi, la lista è impressionante, sia a sesso unico che misto. L’importante è che, insieme, abbiano rivoluzionato il western, portando alle estreme conseguenze di non violenza un genere “internazionale” dove la morte era da considerare normale routine. Una specie di rivoluzione pacifista, insomma.
L’unica cosa da pretendere, ora che Bud è partito per terre inesplorate, sarebbe quella di preservare i suoi film, da dichiarare con urgenza patrimonio nazionale. Non scherziamo affatto: anche un bambino del 2016 ha diritto di essere allattato, cinematograficamente parlando, con ciò che gli serve per crescere sano e forte. Proprio come il suo “omonimo” nella saga di Trinità…

Daniele De Angelis

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