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3/4

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VOTO: 6.5

Km di parole

Quello firmato da Ilian Metev fa parte di quella tipologia di film che prima di essere giudicato necessita di una fase di sedimentazione. Per essere analizzato bene e in profondità, infatti, 3/4 ha bisogno di una lettura critica non a caldo, bensì a freddo, ossia temporalmente distante dalla visione. Questa distanza diventa fondamentale, poiché consente al fruitore di turno, a maggior ragione a chi come noi è chiamato a posizionarlo sotto la lente d’ingrandimento, di trovare le chiavi giuste e utili per entrare nelle maglie del tessuto drammaturgico, narrativo e stilistico, di un’opera non facilmente accessibile. Questa è per quanto ci riguarda un’arma a doppio taglio che può attirare da una parte e respingere dall’altra.
3/4 è un ritratto di una famiglia nella loro ultima estate trascorsa insieme, che passa attraverso un giro di vite e di esistenze che ci porta da subito al seguito di Mila, una giovane pianista, che cerca di prepararsi per un’audizione all’estero, ma il fratello, Niki, continua a distrarla con il suo fastidioso talento per le assurdità. Todor, il padre, è un astrofisico che non sembra essere in grado di gestire le angosce dei figli.
Il film del cineasta bulgaro, premiato con il Pardo d’Oro Cineasti del presente a Locarno 2017 e in concorso alla 19esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, è senza ombra di dubbio una visione ostica, non di quelle alla portata di tutti. Un limite per molti, un pregio per tanti altri che come noi non si sono lasciati scoraggiare dalla non scrittura e dal suo tentativo di trasposizione. Nel DNA di questa coraggiosa opera prima c’è tutta una serie di elementi che potrebbero allontanare lo spettatore, o almeno quella tipologia incapace di rapportarsi con un modo di fare cinema non allineato al classicismo imperante, a una schematicità semplicistica e a una precisa linearità. Quest’ultima ad esempio viene spesso meno, per la scelta ben precisa del regista di affidarsi a un montaggio ellittico, ma anche a un ritmo dilatato che lentamente ci rimbalza attraverso una serie di situazione speculari che sembrano restituire sullo schermo una sorta di loop. Il tutto in un fiume di parole che scaturisce dall’improvvisazione, che contribuisce a sua volta a dare verità e naturalezza alle singole interpretazioni e alle dinamiche interne alle scene.
Dunque, quello di Metev è un modus operandi che va nella direzione opposta, ossia quella percorsa da quegli autori che, senza quella spocchiosa autorialità, provano a dare al proprio film una stratificazione sotto alla mera superficie. Ciò costringe di fatto il fruitore a scavare per raggiungere il cuore pulsante dell’opera e per farlo necessità di quel lasso di tempo al quale accennavamo in apertura. Mano a mano che si scende in profondità affiorano temi universali, a cominciare dal confronto generazionale per finire con l’esplorazione delle relazioni familiari. Temi, questi, che a conti fatti che ci riguardano e in quanto tali sono alla portata di tutti. Il problema è che bisogna avere la pazienza di accettare il modo in cui questi vengono affrontati in un film drammaturgicamente ed esteticamente rigoroso, che fa uso di pochi mezzi per restituire la complessità della comunicazione tra fratelli e sorelle o con i propri genitori. Tutto ciò fa di 3/4 un’opera che va capita per essere veramente apprezzata, difficile e non immediata, ma allo stesso tempo vera e sincera.

Francesco Del Grosso

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