Dovevi essere morta
Finalmente, ecco un remake che non si limita ad essere una banale fotocopia ciclostilata dell’originale. Al buon esito di Pet Sematary versione 2019, contribuiscono una serie di fattori tutti, a loro modo, determinanti. In primo luogo – non ce ne vogliano gli ammiratori incondizionati dell’opera del “Re” del Maine, anche perché pure chi scrive queste righe lo apprezza in maniera significativa – il fatto che Stephen King in questa seconda trasposizione a distanza trentennale non ci sia entrato per nulla, se non come scrittore del testo ispiratore. Mentre della prima era anche sceneggiatore nonché deus ex machina dalla soffocante ombra moralistica, con tanto di breve apparizione nei panni – guarda un po’ – di pastore officiante un funerale. Ed era proprio il discorso sul cattolicesimo strisciante – sul modello “mai andare contro il volere di Dio, altrimenti si pagherà il fio” – a tarpare un po’ le ali al film diretto da Mary Lambert nel 1989, imbrigliando l’indubbio talento visivo della regista, per molti versi sin troppo ossequiosa nei confronti della figura del “creatore” King.
Altra scelta decisamente interessante e persino coraggiosa è stata quella di affidare la regia di questo remake non ad un semplice shooter come un altro, bensì ad una coppia di registi, composta da Kevin Kölsch e Denis Widmyer, fieramente indipendenti e già autori di opere di genere considerate di culto, come ad esempio il malsano Starry Eyes (2014), inquietante incursione tra MetaCinema a patti col Demonio. Ebbene, pur al servizio di una major come la Paramount, ai due è sufficiente una singola sequenza – visibile anche nei trailer del film – nella quale bambini mascherati da animali sfilano verso il cimitero del titolo in quello che sembra a tutti gli effetti, un autentico rituale pagano, a prendere le dovute distanze dal predecessore. Vero è che la traccia narrativa alla The Wicker Man non trova ulteriori riscontri nel prosieguo di Pet Sematary; e tuttavia risulta essere una precisa dichiarazione d’intenti sulla totale laicità del tutto. La quale troverà puntuale conferma negli sviluppi successivi, che non anticiperemo per non rovinare l’effetto sorpresa di quello che si presenta, al pari del capostipite, come un horror dai numerosi colpi di scena. Senza spoilerare più di tanto diremo solo che, ad una prima parte molto simile all’originale dal punto di vista narrativo, ne seguirà una seconda nella quale la sceneggiatura di Jeff Buhler si divertirà – invero un po’ sadicamente – a spiazzare le attese di coloro che continuano a conservare nella memoria gli sviluppi dell’opera primigenia.
Ovviamente però i pregi di Pet Sematary 2019 non si fermano qui. Oltre ad un evidente salto qualitativo in avanti dell’intero cast, capitanato efficacemente dal pater familias Louis Creed/Jason Clarke, il duo registico si getta lancia in resta e con totale sprezzo del pericolo in un veemente j’accuse nei confronti della (molto presunta) sacralità dell’istituzione famigliare. Sia approfondendo in misura maggiore e più pertinente rispetto al primo film il tragico passato del personaggio di Rachel Creed, con i relativi sensi di colpa nei confronti della morte della sorella malata. Ma anche in un vertiginoso lavoro di decostruzione e riassemblamento della stessa famiglia Creed nel suo complesso (leggendario gatto Church incluso, figura molto più centrale in questo lungometraggio), destinato a “sublimarsi” in un epilogo magari meno gore ma assai più inquietante rispetto al Cimitero vivente versione 1989.
Inutile dunque attendersi un film particolarmente innovativo nell’ambito del genere di riferimento, visto che il materiale di partenza tutto può essere considerato tranne che originale. Pet Sematary 2019 va comunque considerato alla stregua di un aggiornamento intelligente e attualizzato al punto giusto, capace di intercettare, com’è giusto che sia, molti dei malesseri che affliggono quella che in troppi considerano ancora il nucleo portante della società contemporanea. Facendo finta di non comprendere che la “perfezione” della famiglia tradizionale non solo non esiste più da tempo, ma è finita essa stessa vittima delle proprie paure. E questo va ben oltre la resa di un lungometraggio perfettamente in grado di soddisfare appassionati del genere e non.
Daniele De Angelis