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Starry Eyes

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VOTO: 6.5

#PreToo

Quattro anni che sembrano quasi novanta. Casting couch è il termine nato ed entrato nel gergo cinematografico, per poi espandersi verso ogni settore lavorativo, a indicare la richiesta esplicita di prestazioni sessuali da parte di una persona che approfitta di una posizione gerarchica dominante. Una realtà vecchia quanto gli Studios e che il sistema non ha mai fatto troppo per nasconderlo, conscio del suo enorme potere, giudicato inattaccabile per assioma.

Una realtà talmente conosciuta anche ai poveri mortali da aver aperto alla stesura di una bibliografia corposa, a partire da un libro scritto nel 1990 dall’agente Alan Selwin e il regista culto del sexploitation Derek Ford (Suburban Wives il suo titolo più famoso): Casting couch (da noi Il sofà del produttore, pubblicato da Mondadori nel 1991 e mai più ristampato: chi è interessato, sarà costretto a cercare tra biblioteche e negozi di antiquariato) è una rilettura scabrosa della storia di Hollywood, fatta di inequivocabili prezzi da pagare per arrivare alla gloria. Prezzo che praticamente tutte le star hanno, a detta degli autori, pagato.

Quanto nel libro vi sia storia e quanto mito tabloid non è perfettamente possibile saperlo, come ogni storia sporca e non ufficiale che si rispetti, ma di certo illumina un aspetto del mondo cinematografico, soprattutto statunitense, non ignorabile. Soprattutto se lo si accosta agli anni della cosiddetta Pre-Code Hollywood, ovvero gli anni in cui il cinema statunitense era privo dal repressivo organo di controllo censorio (nato nel 1930 ma entrato in vigore a tutti gli effetti solo nel 1934) che di fatto impediva qualsiasi visione artistica che non fosse fortemente edulcorata.

Quattro anni, dicevamo, un lasso temporale che ha portato un piccolo horror indipendente, che col potere nulla ha a che fare, tanto da essere stato finanziato tramite una campagna crowdfunding su Kickstarter, a essere uno specchio attuale della realtà non solo cinematografica, ma sociale che stiamo vivendo. E nell’accostare Starry Eyes al movimento #metoo, la reazione può essere solo del contrasto, dell’incompatibilità: vi è qui dipinta una realtà molto diversa da quella voluta dal pensiero che sta facendo cadere molte teste a Hollywood. Starry Eyes guarda invece agli anni Pre-Code, ad anti-eroi e anti-eroine, a sesso e prostitute, a drogati e violenza, ad aborti e promiscuità.

Un film che guarda controcorrente ai dettami del nuovo pensiero femminista e che anzi avrebbe potuto rimettere in discussione l’intera filosofia a essa annessa, forte dell’immagine simbolica della tricotillomania, il disturbo compulsivo della protagonista di strapparsi i capelli. Ma lungi dall’avere la potenza, rimanendo al cinema recente, di The Neon Demon, Maps to the Stars e dello stesso The Canyons, Starry Eyes si infrange in una tautologia molto poco nuova. Si ferma all’enunciato, cadendo ancora nell’immaginario stereotipato della società intesa come entità massonica che governa i fili del destino della realtà.
Non c’è sviluppo, non c’è crescita, non c’è profondità. Non c’è soprattutto empatia, con lo stesso mondo indie, che dovrebbe rappresentare i due registi, visto da questi con lo stesso distacco dall’alto in basso della loro protagonista. Anche l’esplosione grandguignolesca della mezz’ora finale, nella sua buona riuscita ai fini puramente ludici (così come il film nella sua complessità: un’occasione mancata, ma non un’opera disprezzabile), contestualizzata nel messaggio del film ha molto poco del catartico, trovando anzi solo la freddezza del disinteresse, loro e nostro.
La nuova dea dello schermo, nata come una larva finalmente diventata farfalla, si guarda allo specchio, senza più capelli da strappare, non per nichilismo, ma per mancanza di scelte. I suoi occhi verdi fissano il vuoto e non se stessi come le modelle del neon refniano. Qui non vi è nessuna rinascita, nessun alieno, nessun mostro, nessuna bellezza. E guardatevi Red Headed Woman.

COMMENTO ALL’EDIZIONE BLU RAY MIDNIGHT FACTORY
La decina di minuti abbondanti di scene tagliate e del provino di Alex Essoe (squisita incursione metacinematografica) sono i fiori all’occhiello di un reparto extra non eccezionale, ma comunque di buona qualità, considerando la natura indie del progetto. Rispetto all’edizione statunitense di MPI Media Group, è assente solo il commento audio dei due registi e del produttore Travis Stevens. Audio e video mantengono i standard a cui Midnight ci ha abituati.

Riccardo Nuziale

Starry Eyes
USA, 2014
Regia di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer
Con Alexandra Essoe, Amanda Fuller, Noah Segan
Aspect Ratio: 2.35:1
BD-50
Durata: 96 minuti
Audio: Italiano – 5.1 DTS HD master audio; Inglese – 5.1 DTS HD master audio
Sottotitoli: Italiano
Extra: Trailer, Dalla musica al film, galleria fotografica, scene tagliate, provino di Alex Essoe, booklet con commento critico di Manlio Gomarasca e Davide Pulici, fondatori di Nocturno

 

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