La più comunista
Passato e futuro: sono queste le due dimensioni temporali che si sono incontrate quest’anno per la 31esima edizione della Settimana della Critica, sezione esterna della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà. Si chiama infatti SIC@SIC (Short Italian Cinema @ Settimana Internazionale della Critica) l’iniziativa che accompagna parallelamente tutto il Festival lagunare dal 31 agosto al 10 settembre, quando si concluderà definitivamente. Il futuro di giovani autori ed autrici «in grado di muoversi lungo tutto lo spettro espressivo del cinema contemporaneo» – come nelle parole di Giona A. Nazzaro, delegato generale della Settimana Internazionale della Critica – che incontra il glorioso passato rappresentato in questa occasione dal maestro Marco Bellocchio. «Fra Marco Bellocchio e i giovani autori presentati da SIC@SIC – continua Nazzaro – si crea un ponte ideale che permette di pensare il cinema italiano come un dialogo fra l’urgenza di una tradizione viva e gli imperativi di un futuro tutto da giocare e inventare». L’evento speciale è stato infatti inaugurato da Pagliacci, un cortometraggio che il regista emiliano ha realizzato con gli allievi di Fare Cinema di Bobbio, laboratorio che si tiene ormai da vent’anni nella sua città natale.
Attraverso la short story veniamo catapultati in due differenti location, all’interno di un dramma che diventa familiare prima ancora che teatrale.
1) Nel teatro di paese, dove si stanno svolgendo le prove di uno spettacolo tratto dall’opera “I Pagliacci”. Non c’è orchestra, solo un pianoforte e i cantanti. Nel pubblico la madre del cantante (la compianta Lucia Ragni), una ricca signora del luogo, finanziatrice del progetto, assiste impassibile alle prove.
2) Durante la serata, dentro la sua dimora, ha luogo una seduta di ipnosi. Verranno fuori i rancori ed i dolori dei due figli nei confronti della madre e l’impossibilità da parte loro di liberarsene.
Pagliacci assume nei suoi 18’ la forma di una tragedia greca che germoglia in seno alla famiglia, gonfiandosi presto di un’atmosfera estremamente tesa ed inquietante. L’utilizzo delle luci (per la fotografia curata da Daniele Ciprì) assicura un altissimo grad0 emotivo, in cui odio ed invidia fanno da padrone. C’è la società matriarcale, dentro alla vecchia maison, quella puramente borghese che assicura il sostentamento economico al caro prezzo del disprezzo. C’è una finestra che si apre, anche se per pochissimi istanti, su quel ceto sociale che si dice il “più comunista dei comunisti: chi lavora ha il pane, chi non lavora… ciccia!”. Nel dietro le quinte dello spettacolo sembra consumarsi un tradimento amoroso, un atto così volutamente teatrale che si rivelerà un falso. La pioggia che farà strabordare gli argini durante la notte, invece, è molto più lenta e fatale, viene da lontano e cova nell’animo oppresso dei figli dell’anziana matrona.
Bellocchio indaga con sguardo attento gli sviluppi interni ai rapporti consanguinei dei protagonisti, senza mai sottrarre l’occhio dalla connotazione sociale che questi hanno. Lo fa liberando gli istinti in una vera e propria deflagrazione umana, senza condizionamenti ma anzi profondamente sincera, trovando l’ambiente ideale in una seduta di psicanalisi travestita da seduta spiritica. Con questo cortometraggio il regista torna quindi al suo cinema, ai temi cari che lo hanno contraddistinto fin dagli esordi: i fantasmi della condizione antropica, dei vivi e dei morti, della donna e della famiglia tutta.
Riccardo Scano