La Guerra come epopea
Dieci anni dopo Apocalypto (2006), Mel Gibson torna dietro la macchina da presa con La battaglia di Hacksaw Ridge, presentato Fuori Concorso durante la 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e che ha visto la critica dividersi in due schieramenti: com’è avvenuto con il resto della filmografia gibsoniana, anche quest’ultimo lavoro non sembra ammettere posizioni intermedie, e l’unica alternativa ad una severa stroncatura è l’elogio incondizionato.
La battaglia di Hacksaw Ridge racconta la vera storia di Desmod T. Doss (Andrew Garfield), primo obiettore di coscienza ad essere stato insignito della medaglia d’onore: avendo vissuto con un padre alcolizzato e incline alla violenza domestica, e avendo avuto modo di conoscere la sofferenza susseguente ad un atto aggressivo, Desmond si arruola come soccorritore per la Seconda Guerra Mondiale solo a patto di non dover abbracciare alcun tipo di arma. Inizialmente schernito dal resto delle truppe e accusato di codardia, finirà per salvare la vita a settantadue soldati durante la cruenta battaglia di Okinawa.
In continuità con i suoi film precedenti (tra i quali, oltre al già citato Apocalypto, è opportuno ricordare La Passione di Cristo (2004) ), in La battaglia di Hacksaw Ridge Gibson torna ad occuparsi dell’uomo e a meravigliarsi di quanto può rivelarsi pronto a rischiare in nome dei suoi ideali. Desmond, profondamente religioso e con una piccola Bibbia sempre nel taschino, sente che il suo compito è quello di salvare più vite possibile, compito che può essere adempiuto senza mettere mano al fucile; per questo non si piegherà al volere di tutti coloro (e sono tanti) che lo vorrebbero esonerare dal servizio, perché ciò equivarrebbe a disdegnare la sua missione.
La battaglia di Hacksaw Ridge presenta un’impostazione più classica rispetto agli altri lavori di Gibson, ed una patina nazionalistica ed eroica che lo collocano fuori dal tempo. Ma se alla fine dei conti, e soprattutto dopo un finale infarcito di retorica, il film non dà una lettura dei fatti inedita o inconsueta, presenta comunque motivi d’interesse, in primo luogo una forte discontinuità tra la prima e la seconda parte, che destabilizza e coglie di sorpresa lo spettatore. La battaglia di Hacksaw Ridge parte in sordina, e la vita di Desmond prima dell’arruolamento e durante l’addestramento ci viene narrata in un modo delicato e quasi sentimentale, per poi essere improvvisamente scagliati nel bel mezzo della guerra, ed è qua che Gibson, evidentemente più a suo agio, dà prova di avere del talento registico: a partire dalla potentissima scena che dà inizio alla carneficina, avremo un susseguirsi di spari, esplosioni e mutilazioni, il tutto orchestrato da un montaggio velocissimo e coinvolgente, e con un gusto per il macabro che più di una volta va ben oltre il tollerabile. In secondo luogo, per quanto l’intento primario di Gibson sia quello di esaltare l’indipendenza di pensiero di Desmond, non per questo è disinteressato alle motivazioni dei suoi avversari, e a conti fatti ha preferito la strada della comprensione a quella più facile della condanna.
A La battagflia di Hacksaw Ridge possono essere rivolte molte accuse: è retorico, nazionalista, gratuitamente truce e con simbolismi fastidiosi. Ma Gibson dimostra ancora una volta di saper raccontare e coinvolgere (toccante nella seconda parte la performance di Andrew Garfield), e lo saprebbe fare anche senza ricorrere a mezzucci che mirano allo scandalo, ma che spesso sono solo indice di cattivo gusto.
Ginevra Ghini