Non ci siamo, però meglio che niente
Che cosa dire? Certamente, come è prassi usuale tra critici e fans, non va fatto il paragone con le pellicole di Dario Argento sfornate negli anni Settanta. Il confronto con quelle lontane opere è scoraggiante, come accade da quasi trent’anni a questa parte. Anche perché in questi ultimi sei lustri il terrore risiedeva più nell’imbattersi in una pellicola brutta, più che nell’horror insito nelle trame argentiane. Ugualmente, però, non è nemmeno giusto tirare in ballo il lungo iter produttivo, cominciato intorno al 2002, per scagionare Occhiali neri (2022) dai propri tanti difetti. L’unico ragguaglio utile e positivo è con il precedente Dracula 3D (2012), penultima pellicola che sembrava aver messo una pietra tombale su Dario Argento e tutto il suo cinema. Occhiali neri, che è stato presentato al Festival di Berlino 2022 nella sezione Special Gala, partendo da questo paragone, fortunatamente mostra un piccolo passo avanti, diciamo anche un effimero rinsavimento delle idee visive e grandguignolesche argentiane, rispetto a quella infausta riproposizione del mito di Dracula.
Co-sceneggiato assieme al fidato Franco Ferrini (nel 2002), Occhiali neri è un ritorno al thriller, che cerca di ribattere quei sentieri creati dallo stesso Argento (che lo resero famoso e copiabile) negli anni Settanta. Nel film infatti ci sono: un sanguinario serial killer, una scia di morti atroci, la casuale vittima che dovrà scappare dall’assassino, musica rimbombante e un’ambientazione (ritagliando e miscelando sfondi di Roma) a tratti metafisica. Gli elementi ci sono tutti, però quello che manca è quel tocco da genialaccio che riusciva a dare ritmo alla storia, creare la giusta tensione, e plasmare quelle scene che rendevano epiche le morti violente. Smembrando in modo critico la pellicola, partendo dall’esterno, si possono rilevare le carenze. La fotografia in video, a cura di Matteo Cocco, è piatta, para-televisiva, e spesso i bordi dell’immagine sono sgranati. Se non si sapesse che è un film di Argento, si potrebbe pensare che è opera di un esordiente. Le sceneggiature di Argento hanno sempre avuto dei buchi – o scivolate di logica –, però il regista riusciva a supplire a queste falle con la messa in scena. Il plot di Occhiali neri ha delle mancanze di logica, per esempio: la polizia cerca un furgone bianco, e l’assassino, dopo averlo dipinto (da nero a bianco) per continuare tranquillamente i propri delitti, non lo ripittura nuovamente per passare inosservato? Inoltre, la sceneggiatura sembra mettere assieme, senza originalità, le storie di Gli occhi del delitto (Jennifer Height, 1992) di Bruce Robinson, per quanto riguarda la protagonista cieca che fugge dall’assassino, e Caramelle da uno sconosciuto (1987) di Franco Ferrini, per il killer che uccide le prostitute. Se il film fosse stato realizzato nel 2002, quasi certamente la protagonista sarebbe stata Asia Argento (qui in veste di produttrice e nel ruolo secondario dell’assistente Rita), mentre adesso è stata chiamata Ilenia Pastorelli, una delle stelline nascenti del cinema italiano. Benché l’attrice romana a tratti si sforzi nell’interpretare un personaggio cieco, pochissime volte risulta minimamente credibile in tale ruolo; e crea abbastanza ilarità la spiccata parlata romana del personaggio nei momenti di terrore. Per non parlare della scena in cui la Pastorelli mostra il rigoglioso seno: benché interpreti una prostituta, questa scena sembra costruita soltanto per dare qualche elemento maggiore di commerciabilità.
Nuoce gravemente alle tenuta di tutto il film, altresì, la figura del killer e quella del bambino che aiuta la protagonista. L’assassino è un semplice esaltato maniaco, che tra l’altro sniffa cocaina (che originalità!), mentre il bambino a volte spinge il film verso lidi troppo mielosi (concessione al futuro passaggio in tv?). Pertanto, cosa c’è di salvabile in Occhiali neri? Le prime scene inerenti all’eclisse solare, che evocano una tensione che poi, purtroppo, non ci sarà nel resto della trama; il primo sgozzamento, che confermano le qualità dei make-up di Sergio Stivaletti, e per un attimo riusciamo a tornare all’impatto violento dei thriller dei bei tempi; l’Ispettore Baldacci, interpretato molto bene da Gennaro Iaccarino, risoluto e senza tanti vezzi da protagonista.
Roberto Baldassarre