Le tentazioni del diavolo
È l’alba. Il vice questore Francesco Prencipe esce di casa per raggiungere il suo migliore amico, il giudice Giovanni Mastropaolo, che non vede da quasi due anni. Due ore di macchina per un colloquio di poche parole. Una domanda. Una risposta. Quella stessa mattina il giudice viene trovato morto, freddato da un colpo di pistola alla testa. Francesco è l’ultimo ad averlo visto. Solo sue le impronte nella casa. Solo suo il tempo per uccidere. A interrogarlo e accusarlo una PM che conosce il suo passato, a difenderlo l’avvocato amico di una vita. Nell’attesa che lo separa dal processo, le immagini del passato di Francesco si accavallano incoerenti nel disperato tentativo di arrivare al vero assassino. E alla verità di una vita intera.
Più di un lettore riconoscerà in queste poche righe di sinossi le dinamiche basilari appartenenti allo schema ormai classico e ampiamente collaudato del legal-thriller, sottogenere della famiglia allargata del giallo in cui protagonisti e risolutori sono gli avvocati e le aule giudiziarie, i cui meccanismi vengono dettagliatamente riprodotti e che spesso si intrecciano al police procedural. Ed è proprio al suddetto filone e al modus operandi che ne caratterizza tanto la narrazione quanto il disegno dei personaggi che Francesco Caringella ha attinto a piene mani per dare origine alle pagine del suo pluridecorato e apprezzato romanzo dal titolo “Non sono un assassino”. Pagine, quelle che lo compongono, che strizzano l’occhio in maniera sin troppo evidente alla matrice a stelle e strisce, che ha in Erle Stanley Gardner, Scott Turow e John Grisham, illustri esponenti. Modelli, questi, che l’autore seguirà pedissequamente per provare a tessere la trama della sua opera, ma che a conti fatti restano tali e distanti per efficacia della scrittura e livello di coinvolgimento del fruitore. Una distanza che si farà ancora più abissale nel passaggio dalla carta al grande schermo con la trasposizione cinematografica affidata ad Andrea Zaccariello, presentata in anteprima alla decima edizione del Bif&st due giorni prima dell’uscita nelle sale con 01 Distribution.
Nella pellicola firmata dal cineasta emiliano nemmeno la chiarezza che emerge dalla precisione e dalla veridicità delle fasi processuali che derivano dalla formazione giuridica dell’autore del romanzo e che fanno da base solida all’intreccio, servono a tamponare i limiti strutturali dell’adattamento filmico. Non sono un assassino paga la resa caotica del meccanismo mistery, qui compresso in una versione scatologica a mosaico che non funziona come nel respiro del romanzo. Il risultato infatti vede i singoli pezzi trovare a fatica e in maniera meccanica la propria collocazione sullo scacchiere. I continui rimbalzi spazi-temporali legati da un didascalico montaggio per associazioni visive e ricordi del protagonista, oltre all’immancabile MacGuffin di hitchcockiana memoria (l’onnipresente chiave di un misterioso cassetto), creano uno stucchevole e prevedibile gioco di rimandi che alla lunga appesantisce la fruizione e azzera la suspence. Per non parlare dell’utilizzo della soggettiva come punteggiatura, che nelle intenzioni del regista poteva servire per mascherare e depistare lo spettatore di turno, ma che al fotofinish si rivela un escamotage visivo telefonato.
Insomma, tutto ciò che Zaccariello fa nel bene e nel male rappresenta la catena di causa ed effetto innescata dall’esigenza di portare a termine i compiti per casa. E il compito purtroppo va al di sotto della sufficienza in pagella, con il regista che fa quello che può stilisticamente ma paga a caro prezzo lo scellerato lavoro di riscrittura e le interpretazioni ben al di sotto delle vere potenzialità dell’intero cast, dove tra difficoltà dialettali e di doppiaggio la componente dialogica subisce un autentico KO.
Francesco Del Grosso