La rieducazione
Capita sempre più spesso di incontrare autori che utilizzano il cinema di genere come specchietto delle allodole per parlare di temi dal forte peso specifico e dal contenuto più o meno scomodo. Ciò permette loro di entrare a gamba tesa sull’attualità e di portare sullo schermo il proprio punto di vista su questa o quell’altra questione. È il caso di Danis Goulet, che per la sua opera prima dal titolo Night Raiders, presentata al 21° Trieste Science + Fiction Festival dopo le anteprime internazionali alle ultime edizioni della Berlinale e Toronto, ha scelto la fantascienza con il chiaro intento di affrontare in maniera simbolica e libera da pregiudizi i temi della diversità, xenofobia o delle politiche di genere. Lo fa con una storia che affonda gli artigli in un futuro prossimo che proietta lo spettatore di turno nell’anno 2043. Nel Nord America uscito dalla guerra, l’occupazione militare controlla città private di ogni diritto. I bambini sono proprietà dello Stato. Niska è un’indigena Cree che farebbe di tutto pur di proteggere la figlia Waseese. Ma il corso degli eventi porta madre e figlia a separarsi, così che Niska si unisce a una banda di vigilantes per infiltrarsi nell’accademia statale in cui vengono addestrati i bambini e recuperare la figlia.
La regista canadese, supportata in fase produttiva dalla mano esperta del collega Taika Waititi, firma un dramma distopico a trazione femminile che parla di resilienza, coraggio e amore. La mente torna a I figli degli uomini, laddove i nascituri e i minori diventano un “bene” prezioso per l’umanità, in questo caso conteso tra la Società e il proprio legame biologico. In Night Raiders va in scena una nuova battaglia per la sopravvivenza in un futuro compromesso, che vede una madre lottare per difendere la propria figlia dalla follia nazionalista delle First Nation nord-americane.
Il risultato è una freccia scagliata contro un bersaglio assai complesso da colpire, una freccia che non arriva vicino al centro quanto avrebbe dovuto e potuto. Il problema non sta nei contenuti e nel modo in cui questi vengono veicolati, piuttosto nella mancanza di lucidità nel metterli perfettamente a fuoco. La scrittura della stessa Goulet non è sicura e compenetrante come la sua regia, il ché non consente al film di sviluppare e approfondire la tridimensionalità e lo spessore drammaturgico di un racconto di certo non originale, poiché costruito su dinamiche già ampiamente esplorate, ma comunque dal forte potenziale. Potenziale che però rimane in gran parte inespresso. Forse un po’ di azione in più avrebbe giovato al ritmo. Un peccato perché il progetto aveva tutte le carte in regola per dire la propria, a cominciare da una regista nel cui DNA è presente il sene di un talento destinato a dare buoni frutti. Ma questo sarà solo il futuro e le prossime esperienze dietro la macchina da presa a dircelo una volta per tutte. Nel frattempo ha portato a casa una prova che le consente di strappare una sufficienza in pagella, che può contare sul contributo di una coppia di interpreti davvero convincente formata da Elle-Máijá Tailfeathers (Niska) e Brooklyn Letexier-Hart (Waseese), oltre che sulla colonna sonora del collettivo neozelandese dei Moniker, le cui musiche aggiungono un abbondante quantità di tensione anche dove il dosaggio della scena inferiore.
Francesco Del Grosso