Sopravvive la musica
Nick Drake – Songs in a Conversation rappresenta un’operazione cinematografica davvero inusuale, che forza la dimensione del biopic e del film (o documentario) musicale per porre in primo piano il lascito di un grande artista. Per porre in primo piano proprio la sua musica. Rendendola così esperienza impalpabile e per certi versi atemporale. Laddove la stessa Festa del Cinema di Roma 2019 ha proposto lavori come Pavarotti o come il toccante Mystify: Michael Hutchence, documentario in cui la tormentata parabola del frontman degli INXS rifulge principalmente tramite le testimonianze audiovisive, attraverso i riflessi della costante esposizione mediatica dell’artista, il film di Giorgio Testi si pone in direzione ostinata e contraria; coltiva insomma l’ambizione di ricordare Nick Drake lasciando volutamente fuori campo l’immagine del cantante. E se ciò, in alcuni, ha lasciato inevitabilmente l’amaro in bocca, nel nostro caso si può invece dire che abbia generato un’esperienza spettatoriale tanto insolita quanto armonica ed immersiva.
Scomparso a soli 26 anni, l’intenso cantautore inglese ci ha lasciato tre album e una poetica inconfondibile, personale. Partendo dallo studio e dalla vertiginosa assimilazione dei suoi brani, il cui sound appare magicamente sospeso nel tempo, irripetibile e al tempo stesso sorprendentemente contemporaneo, due giovani musicisti hanno deciso di riproporre tale repertorio avvalendosi della collaborazione di altri artisti innamorati di Nick Drake e della sua musica. Vediamo pertanto Roberto Angelini e Rodrigo d’Erasmo girovagare per l’Europa, passando dalle campagne vicino Roma alla brughiera inglese (e con una breve parentesi transalpina), come a riprodurre sullo sfondo “l’habitat” ideale, ossia lo stesso scenario bucolico in cui le liriche di Drake sono state composte; e in ciascuna delle tappe di questo tour inevitabilmente introspettivo si duetta con “ospiti” come Niccolò Fabi, Adele Nigro e Manuel Agnelli degli Afterhours, dando vita a brevi incontri in cui non solo vengono riproposte dal vivo le canzoni ma si sviluppano anche accalorate disquisizioni sul peculiare modo di fare musica dell’artista britannico. Fino al momento clou, la visita alla sua sonnacchiosa Tanworth-in-Arden, dove è un vecchio sodale di Drake, il sound engineer John Wood che ne aveva curato la registrazione in studio di tutti gli album, ad offrire un ritratto più intimo e sentito del Nostro come anche uno spaccato di quel diverso e più artigianale modo di lavorare in studio, che appare oggi malinconicamente e irrimediabilmente mutato, svanito, corrotto infine dalla modernità.
Stefano Coccia