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Il meglio deve ancora venire

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VOTO: 7

Amici di cancro

Il cinema d’oltralpe continua, imperterrito, a impartire sonore lezioni periodiche a quello nostrano. Beninteso restando nell’alveo delle pellicole commerciali. Le meilleur reste à venir (nella versione italiana Il meglio deve ancora venire, traduzione letterale), della coppia registica composta da Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte – ricordate la loro urticante opera prima a quattro mani, Cena tra amici del 2012? – si distingue per l’abilità alchemica di contaminare la commedia intellettualmente elevata con il melodramma più acceso, riuscendo così ad alternare, nell’arco del medesimo lungometraggio, risate spontanee e persino qualche lacrimuccia non troppo forzata. Istanza che noi, in tutta evidenza, non riusciamo proprio a raccogliere, prigionieri della banale commedia a tutti costi priva di qualsivoglia propensione al rischio. Ovviamente la possibilità di flop diminuisce se si ha a disposizione un duo di interpreti affiatati come Fabrice Luchini, virtuoso della recitazione in sottrazione, e Patrick Bruel, al contrario tutto istinto e trasparire di emozioni. Appare dunque chiaro, persino scorrendo queste sommarie note introduttive, come Le meilleur reste à venir (cioè Il meglio deve ancora arrivare) – opera presentata nell’ambito della Selezione Ufficiale alla quattordicesima Festa del Cinema di Roma – sia il classico film di caratteri. Due opposti che si attraggono e completano a vicenda. Due amici fraterni cresciuti nello stesso istituto per orfani, che condividono un bagaglio d’esperienza tale da segnare per sempre il loro rapporto. Questo anche se Arthur (Luchini) è introverso, ligio alle regole, impacciato con l’altro sesso a seguito un divorzio nemmeno così recente nonché ricercatore universitario di scarsa simpatia verso chiunque. Mentre César, all’opposto, è logorroico, “casinista” nel senso migliore del termine e in aggiunta molto incline a stabilire relazioni sessualmente produttive con le donne.
Il (grosso) malinteso nasce quando, dopo una caduta, César deve farsi una radiografia alla spalla. Sprovvisto della propria tessera sanitaria chiede in prestito quella di Arthur. Le costole sono ok, ma purtroppo Arthur viene convocato in ospedale dove gli diagnosticano una forma di cancro ai polmoni con metastasi del tutto impossibile da curare. Ma il vero malato è César, quindi in che modo informarlo della brutale verità? Da qui in poi il lungometraggio imbocca la strada della commedia degli equivoci a denominazione d’origine controllata perfettamente francese, con uno sfondo morale sul cosiddetto “carpe diem” tutt’altro che ingombrante nell’economia narrativa. Battute taglienti e situazioni più o meno imbarazzanti si susseguono senza soluzione di continuità, conducendo per mano lo spettatore sino ad un epilogo certamente prevedibile in cui però il come riveste un’importanza decisamente maggiore del cosa. L’unico peccato veniale che si può imputare ad un film come Le meilleur reste à venir è quello di giocare in qualche momento sin troppo palesemente d’accumulo in sede di sceneggiatura, peraltro opera degli stessi registi. Il tumore “raddoppia”, mentre i rapporti personali tra i vari personaggi, da uno status di crisi conclamata, si avviano diligentemente ad una risoluzione positiva. Un buonismo di fondo, insomma, lontano dalla cattiveria anti-borghese di Cena tra amici, ma che nulla toglie alla bontà di un prodotto capace di fare della propria commerciabilità un pregio senza che venga intaccata la fattura di buon livello generale del prodotto.
Se a tutto questo si aggiunge un cast estremamente in parte in ogni sua componente, in grado di aggiungere quel quid di verosimiglianza in grado di catturare la fatidica empatia spettatoriale si può definire il cocktail completo e pronto per essere degustato. Anche per un pubblico italiano – il film verrà distribuito dalla Lucky Red – che continuerà ad interrogarsi sui motivi per cui i nostri film siano destinati a rimanere bruchi senza speranza alcuna di divenire farfalla.

Daniele De Angelis

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