Surreale quotidiano
Eros Puglielli, bentornato. Nevermind è il film che ha vinto il Premio del Pubblico al 38° Fantafestival ed è anche, a nostro modestissimo avviso, il miglior lungometraggio italiano visto durante tutto il 2018. Ma c’è di più. Per predisposizione personale è proprio in un cinema come il suo o come quello di Alessandro Aronadio (Orecchie, Io c’è) che scorgiamo le tracce più utili a decifrare l’Italia di oggi, un paese sempre più paradossale che necessita quindi di chiavi rappresentative altrettanto paradossali, per essere almeno in parte compreso. Ci viene pertanto in mente un paragone illustre: il sulfureo Nevermind può rappresentare per il presente ciò che era stato, per gli anni ’90, un misconosciuto gioiello come Strane storie – Racconti di fine secolo (1994) di Sandro Baldoni. Analoga l’impostazione episodica e corale, analoga la tensione verso il grottesco, analogo lo sguardo beffardo e impietoso su una società alla deriva.
Abbiamo fatto diversi altri nomi, ma è comunque su quello di Eros Puglielli che dobbiamo puntare nuovamente i riflettori. Non per una ovvietà. Ma perché in Nevermind sono i toni paradossali, la freschezza e lo stralunato umorismo delle sue prime opere cinematografiche a tornare prepotentemente alla ribalta. In particolare gli irresistibili Dorme (1993) e Tutta la conoscenza del mondo (2001), il cui spirito rivive qui ma con una perizia registica e visiva, in fin dei conti, persino maggiore. Poiché nel frattempo si sono inseriti tra cinema e televisione altri progetti forse meno personali, più pedissequamente aderenti ai canoni di determinati generi cinematografici, che però a uno sguardo attento rivelano una crescente consapevolezza della messa in quadro, della direzione degli attori e delle altre potenzialità del mezzo.
Abbiamo accennato di sguincio agli attori. Da un superlativo Paolo Sassanelli (protagonista della bizzarra struttura circolare che incornicia il film) ai vari Gianluca Gobbi, Giulia Michelini, Andrea Sartoretti, Massimo Poggio, Claudia Coli, Renato Scarpa, Luis Molteni e Paolo Romano, le maschere farsesche fatte loro indossare riescono a generare una insolita suspense, all’interno di quadretti che sono un po’ teatro dell’assurdo, un po’ commedia dell’arte e un po’ cinema alla Dino Risi, aggiornato però alle ansie e alle paranoie di oggi. Impossibile analizzare qui ogni singolo episodio. Premesso però che gli allacci tra i diversi segmenti sono a dir poco geniali, l’indiavolata sarabanda che ne scaturisce oltre a essere di una comicità travolgente coglie sempre nel segno. La fede incondizionata nella psicanalisi ne esce fuori a pezzi. Come è giusto che sia. Ma a finire catarticamente triturata è tutta l’Italietta dei lavoretti precari, della sottomissione ai capi, dei mutui da pagare, dei reality televisivi, degli chef idolatrati, delle interminabili crisi di coppia, dei bambini viziati e di una generalizzata crisi di valori. Senza moralismi di sorta, Eros Puglielli si fa beffe di tutto ciò avvincendo lo spettatore col suo humour feroce, grottesco, riflesso quindi da una surreale pellicola che anche a livello di perizia tecnica e invenzioni visive sorprende non poco.
Stefano Coccia