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Non cadrà più la neve

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VOTO: 8

Quando arriva la neve

Quando, la mattina del 26 aprile del 1986, scoppiò la centrale nucleare di Chernobyl, una fitta polvere simile a della neve cadde sulle zone limitrofe. Ed è proprio il concetto di neve, insieme a tutto ciò che la stessa – nel bene e nel male – è in grado di evocare a divenire di centrale importanza in Non cadrà più la neve, presentato in concorso alla 77° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e realizzato da una Malgorzata Szumowska in ottima forma, con la collaborazione di Michal Englert.

Zhenia è un giovane massaggiatore che viene da un piccolo paese vicinissimo a Chernobyl. Il ragazzo giungerà in Polonia, dove inizierà a lavorare in un singolare quartiere della upper class di periferia, girando per le case, incontrando, di volta in volta, realtà completamente diverse ed entrando in confidenza con i suoi clienti fino a diventare, per loro, quasi un punto di riferimento.
Il microcosmo in cui Non cadrà più la neve si svolge sembra, in realtà, quasi un mondo a sé, immerso com’è in un contesto del tutto straniante, dove una serie di ville – tutte rigorosamente bianche, tutte più o meno simili l’una all’altra – sono separate da strade pulitissime e ordinatissime. E la compostezza con cui le scenografie sono sapientemente studiate, si rispecchia con un altrettanto rigoroso approccio registico, in cui inquadrature fisse si alternano a brevi carrellate raffiguranti i passanti per le strade, per una serie di ritratti dai colori prevalentemente freddi. Freddi, appunto, come le vite di chi abita in questo singolare quartiere.
E così, con l’arrivo del giovane Zhenia, il mondo dei ricchi è finalmente costretto a confrontarsi con una nuova realtà. Realtà che diverrà presto lo specchio delle loro stesse vite e li spingerà, finalmente, a cambiare qualcosa di sé. O forse no?
Complesso, stratificato, pieno di riferimenti non soltanto a Chernobyl, ma anche alla situazione politica ed economica mondiale e all’emergenza climatica, questo importante lavoro della Szumowska e di Englert punta il dito direttamente contro l’umanità o – sarebbe meglio dire – contro il mondo dei potenti, dei ricchi. Contro tutti coloro che, guardando i propri interessi non hanno saputo salvaguardare il mondo in cui vivono. Eppure, nonostante il messaggio forte e chiaro, si evita, qui, sapientemente ogni retorica, ogni superfluo e ridondante didascalismo.
La realtà rappresentata ci mostra – con una studiata e ben calibrata ripetitività e con una buona dose di disincantata ironia al proprio interno – una serie di situazioni paradossali: da genitori annoiati e incuranti che crescono figli maleducati e fortemente bisognosi di attenzioni, fino a malati terminali che sono convinti che la medicina naturale possa guarirli; da ex militari pronti a riportare “l’ordine” nel proprio quartiere, senza dimenticare signore di mezza età che non hanno altri affetti se non tre bei bulldog grassottelli.
Una carrellata di tipi umani per una lenta, ma costante mutazione delle situazioni. Qual è, in realtà, il ruolo del giovane Zhenia? In che modo la neve cambierà le vite di tutti loro? Sarà, il suo arrivo, davvero così terribile o, al contrario, farà in modo che tutti possano trovare finalmente la serenità immaginando di essere tornati bambini?
Secondo le previsioni, l’ultima neve cadrà sull’Europa nel 2025. Non cadrà più la neve fa in modo che lo spettatore rifletta su ciò, sollevando volutamente una serie di domande a cui non è mai data risposta certa. Ciò che è certo è che un lavoro come il presente si è rivelato un’ottima sorpresa all’interno di un concorso un po’ traballante come questo della 77° edizione della Mostra. E questo, di certo, non è poco.

Marina Pavido

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