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Dear Comrades!

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VOTO: 7.5

Storia di una madre

Il 2 giugno del 1962 – nella città di Novocherkassk, in Russia – alcuni manifestanti che protestavano per le loro condizioni di lavoro all’interno di una fabbrica di locomotive sono stati attaccati dall’esercito del Partito Comunista locale. In seguito a una sparatoria, alcuni di loro sono rimasti feriti, altri sono morti. I cadaveri – al fine di secretare il tutto – sono stati sepolti in tombe fuori città appartenenti ad altre persone. E se un evento del genere è venuto alla luce soltanto nei primi anni Novanta, ecco che il regista Andrei Konchalovsky ha voluto dire la sua in merito, realizzando Dear Comrades!, presentato in Concorso alla 77° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Un film, il presente, particolarmente intimo e personale per il regista, il quale – ispirandosi a fatti realmente accaduti – ha pensato immediatamente ai suoi stessi genitori e a ciò che loro, nei decenni scorsi, a causa del regime dittatoriale hanno dovuto subire. Quanto ha influito, dunque, il coinvolgimento personale nella resa finale del lungometraggio? Fortunatamente – dopo un’importante carriera dietro la macchina da presa – Konchalovsky è riuscito a mantenere una certa, necessaria lucidità nel mettere in scena le vicende di Lyudmila (un’ottima Julia Vysotskaya), membro del Partito Comunista e militante convinta, che non tollera chi metta in discussione i buoni intenti del partito stesso. La donna, tuttavia, ha sempre avuto modo di scontrarsi con sua figlia diciottenne, la quale, al contrario, deciderà di prendere parte alle suddette rivolte. In seguito alla sparatoria, la ragazza sparirà nel nulla. Che ne sarà stato di lei?
Nel corso della disperata ricerca di sua figlia, Lyudmila avrà modo di venire a contatto con situazioni fino a quel momento per lei sconosciute. I suoi ideali verranno meno, prenderà a considerare nuovi punti di vista. Ed ecco che il discorso politico finisce per andare di pari passo con il dramma personale di una madre che non sa che fine abbia fatto sua figlia, per un affresco equilibrato e ben calibrato di un intero periodo storico.
Un curatissimo – e forse anche un po’ lezioso – bianco e nero – insieme a un formato di 4:3 – sta a portarci direttamente negli anni Sessanta. Lo spettatore entra a far parte della storia già dal momento della sparatoria. Da questo punto in avanti il personaggio della protagonista acquista umanità, ci appare non più arrabbiata, estremamente rigida e quasi “bidimensionale”, ma dolente e disperata in tutto l’amore probabilmente raramente dichiarato per sua figlia.
Ed è proprio sulla protagonista che la macchina da presa si concentra per tutta la durata del lungometraggio. Attraverso la storia di una madre, ci viene mostrata la storia di una nazione. E Andrei Konchalovsky – che già ha avuto modo in passato di mettere in scena le brutture della dittatura – sa benissimo su cosa puntare, cosa mettere in risalto e quanto peso dare alla Storia stessa all’interno dei drammi personali.
Se, dunque, il presente Dear Comrades! è un film che il regista avrebbe potuto realizzare benissimo anche venti, trenta anni fa e che ci dà l’impressione che egli stesso sia tornato a un modo di fare cinema risultato vincente in passato, è anche vero che – ripensando a meno riusciti lavori recenti – tale lungometraggio sta quasi a indicare una sorta di (necessario) cambio di rotta, per il ritorno a un cinema crudo e intimista ma anche fortemente politico evitando virtuosismi che altro non fanno che rendere il tutto eccessivamente pomposo, pericolosamente ridondante.

Marina Pavido

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