Vado a vivere da sola
Se ne era parlato un gran bene già all’epoca delle presentazioni alle ultime edizioni del Sundance Film Festival e della Berlinale. Dopo aver visto My Happy Family al 18esimo Festival del Cinema Europeo di Lecce, dove si è aggiudicato l’Ulivo D’Oro, il Premio FIPRESCI e quello per la migliore fotografia, non possiamo che confermare quanto di buono giunto alle nostre orecchie a proposito del film della coppia georgiana Nana & Simon. Le innegabili qualità intrinseche della quale l’opera si fa portatrice sana, infatti, sono sotto gli occhi di tutti e riguardano tanto le componenti drammaturgiche quanto quelle più squisitamente tecniche. Le due facce della stessa medaglia contribuiscono di fatto a dare alla pellicola una solidità strutturale e una grandissima forza comunicativa che trasudano sullo schermo dal primo all’ultimo fotogramma utile. Se a questo aggiungiamo la meravigliosa e intensa performance davanti la macchina da presa di Ia Shugliashvili, allora il menù a disposizione della platea di turno si fa davvero di altissima qualità.
L’attrice georgiana presta corpo e voce a un personaggio complesso e dalla tante sfumature, con una interpretazione, partecipe e coinvolgente, che calamita a sé le maggiori attenzioni del pubblico, alla pari di quelle offerte dalla Sonia Braga di Aquarius o dalla giovane spagnola Natalia de Molina di Techo y comida. Come le colleghe, anche la Shugliashvili si carica letteralmente sulle spalle il film, diventando di fatto il suo cuore pulsante e il baricentro su e intorno al quale ruotano le componenti principali e secondarie dell’opera. Le bellezza della sua interpretazione spicca su tutte quelle dei compagni di set (tutti assolutamente in parte e convincenti), donando un qualcosa in più alle già straordinarie scene corali presenti nella timeline, a cominciare da quella del trasloco e dell’abbandono della casa paterna per finire con quella della riunione di famiglia. Per farlo si cala nei panni di Manana, un’insegnante di letteratura sposata da venticinque anni, che vive in un appartamento con tre camere da letto a Tbilisi insieme al marito, i genitori, due figli adulti e il genero. Ma la sera del suo cinquantaduesimo compleanno spiazza la sua famiglia annunciando di voler andar via di casa. Vedendola fare davvero le valigie e andarsene, i familiari sono sconvolti e increduli: dove sta andando? Cosa l’ha spinta a prendere una decisione del genere? Alla sua età divorziare non ha più senso, e chiunque direbbe che ha un bravo marito, che non si ubriaca e non la picchia nemmeno. Ma Manana tiene fede alla sua decisione e fa qualcosa di inaudito per la società patriarcale georgiana: va a vivere da sola in un piccolo appartamento.
My Happy Family è una pellicola che si appoggia a uno script drammaturgicamente poco stratificato, lineare nel procedere del suo racconto, semplice e immediato nel suo modo di comunicare con e al fruitore emozioni e stati d’animo dei personaggi. Questa è senza ombra di dubbio la sua peculiarità, che non esclude il fatto che custodisca al suo interno tutta una serie di elementi in grado di accrescerne il valore. Oltre ai già citati motori portanti, infatti, il punto di forza dell’opera di Nana & Simon risiede nella capacità della scrittura di interagire alla perfezione con lo stile e l’approccio registico. Entrambe le componenti contribuiscono a fornire gli strumenti necessari per consentire alla pellicola di trasformarsi in un efficacissimo veicolo di contenuti e messaggi di grande pregnanza, ben sintetizzati nella motivazione con la quale la giuria della kermesse salentina ha conferito al film l’Ulivo d’Oro dell’edizione 2017: “Lo spettatore viene proiettato nella vita di una famiglia dove tre generazioni sotto lo stesso tetto, provano ad adattare le loro sfide personali e quotidiane fra tradizione e modernità. Allo stesso tempo, il film è un sottile ritratto di una donna di mezza età e una madre alla ricerca dell´autodeterminazione. Una messa in scena che ci fa sentire come se fossimo sempre stati membri di questa famiglia”.
My Happy Family è anche una lucidissima discussione sulle dinamiche di gruppo della famiglia. In Georgia, nella stragrande maggioranza dei casi, la gente è felice quando è circondata dalla famiglia. È un istinto primordiale stare con chi si ama, proteggersi e sostenersi a vicenda. Una tale vicinanza agli altri ha conseguenze non solo economiche, ma anche sociali e culturali. Mentre la cultura europea persegue l’individualismo, quella georgiana continua a essere caratterizzata dalle dinamiche di gruppo e dal vivere in collettività. Naturalmente, stare così a stretto contatto gli uni con gli altri può essere complicato. In primis per la totale mancanza di privacy, ma anche perché i membri della famiglia esercitano una grande influenza l’uno sull’altro. Ci vuole una dose enorme di forza e coraggio per vivere come si vuole e per spezzare un ciclo così radicato. La protagonista ci metterà tutto l’impegno possibile per raggiungere il suo scopo, ossia quello della conquista della piena indipendenza. Allo spettatore il compito di scoprire se e come questa battaglia finirà.
Francesco Del Grosso