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Mother

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VOTO: 7.5

Minuti contati

Ci sono telefonate più o meno inaspettate che si fanno portatrici sane di buone notizie, altre invece che non vorremmo mai e poi mai ricevere, di quelle capaci di cambiare e segnare in maniera indelebile il presente e il futuro del diretto interessato come nel caso della protagonista del cortometraggio di Rodrigo Sorogoyen dal titolo Mother, che dopo la proiezione al Festival di Toronto nel 2017 e la vittoria del Premio Goya 2018 di categoria è approdato nel concorso “Fiction Internazionale” della prima edizione del Saturnia Film Festival.
Nella pellicola del regista spagnolo una madre single riceve una telefonata da suo figlio di sette anni, che è in vacanza in una località balneare non meglio identificata della Francia in compagnia del padre, nonché ex marito della donna. La chiamata, all’inizio piacevole, diventerà presto un terribile incubo quanto il bambino le rivela che non riesce a trovare suo padre. Quei minuti trascorsi al cellulare si trasformeranno in un incubo ad occhi aperti.
Mother si iscrive di diritto nel ricco filone del thriller psicologico d’atmosfera e non d’azione, scatologico e ansiogeno, costruito in un unico interno come vuole il kammerspiel da manuale, con due personaggi e un controcampo invisibile di voci che giungono sullo schermo attraverso l’amplificazione del cellulare. Il plot non ha moltissimo da dire per quanto concerne la componente narrativa, con un racconto lineare che si consuma in un arco temporale ristretto e una topografia circoscritta, salvo un prologo e un epilogo in esterno dove lente panoramiche grandangolari di mostrano una spiaggia isolata nel nulla. Un plot che sul piano dell’originalità non può e forse non vuole fare la voce grossa, con la mente che per analogie non può non tornare a operazioni più o meno simili come In linea con l’assassino, Buried, Cellular e relativo remake hongkonghese (Connected di Benny Chan) o L’ora del buio. L’eccezione semmai sta nel mettere la vittima di turno perennemente fuori campo.
In Mother, le stanze e soprattutto il salotto dell’appartamento della protagonista si tramutano nel “teatro” di una corsa contro tempo per la sopravvivenza, con le tacche della batteria del dispositivo della vittima in esaurimento a dettare il ritmo della narrazione, quest’ultimo serrato e ben orchestrato. Quanto basta per calamitare a sé l’attenzione della platea di turno e tenerla incollata alla poltrona dal primo all’ultimo fotogramma utile, grazie a una regia che riesce in fase di messa in quadro a restituire un interessante crescendo di tensione destinata a implodere sullo schermo.
Proprio il lavoro dietro e davanti la macchina da presa a rubare l’occhio dello spettatore con un piano sequenza chirurgico e ben coreografato ad accompagnare una performance attoriale di altissimo livello. A regalarcela una straordinaria Marta Nieto nei panni di una madre disperata che cerca in tutti i modi di mettere in salvo suo figlio. E non è un caso che lo short scritto e diretto dal cineasta spagnolo si sia aggiudicato il premio Michelangelo Antonioni per la migliore regia alla neonata kermesse toscana, laddove abbiamo avuto la possibilità di apprezzarne le suddette qualità. Proprio l’insieme di queste componenti, ciascuna a proprio modo si rivelano determinanti ai fini della riuscita dell’opera in questione.

Francesco Del Grosso

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