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Mine

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VOTO: 7

Soldatini nella sabbia

Fabio & Fabio. Ovvero Fabio Guaglione e Fabio Resinaro. Siamo sicuri che la spigliatezza di questo loro esordio nel lungometraggio, l’indubbia personalità esibita muovendosi in quell’altro particolare campo minato, rappresentato dal cinema di genere, non sorprenderà più di tanto chi già ne conosce i lavori precedenti. Sin dai primi anni duemila questi due registi, che si erano conosciuti nel 1995 in un liceo scientifico di San Donato Milanese, hanno dato vita a una fortunata serie di corti e mediometraggi, in cui la loro passione per il surreale, la science fiction, il fumetto, ha avuto modo di brillare evidenziando un insolito talento visivo e qualche intuizione narrativa niente affatto banale. Dopo il positivo esordio nel 2001, il duo aveva già cominciato a puntare in alto regalandoci nel 2004 un ambiziosissimo cortometraggio di fantascienza, E:D:E:N, capace di fondere l’immaginario della space opera con altre tracce filosofiche, narrative, attraverso un controllo dell’inquadratura e un dosaggio degli effetti speciali non così comuni, quantomeno in prodotti italiani dal budget inevitabilmente limitato. Un altro importante segnale di crescita è arrivato nel 2008 grazie ad Afterville, mediometraggio con imponenti astronavi arenate in una Torino futuristica, da cui una sfilza di dilemmi etici pressoché inediti da risolvere. Il successo di questa impresa registica, sommato ad altre prove ottimamente superate nelle vesti di sceneggiatori e produttori, ha spalancato a Fabio & Fabio le porte di un allargamento sostanziale del loro raggio d’azione, col cinema stelle e strisce quale possibile orizzonte degli eventi. Ed è infatti dalla collaborazione con Peter Safran, già produttore di un piccolo cult movie come Buried, che è nata l’idea di realizzare Mine.

Eccoci allora davanti a questa nuova e più lunga avventura. Rischiosa azione anti-terrorismo condotta da due marines in qualche remoto, esotico teatro di guerra. Successiva traversata di una poco ospitale area desertica. E a seguire l’insidia letale rappresentata da quel tratto minato, dove l’amico salta in aria rimanendosene lì agonizzante mentre il protagonista deve arrestarsi, col piede poggiato su un altro ordigno, perché spostarlo potrebbe voler dire che la propria condanna a morte è firmata.
Da questo momento in poi il film cambia marcia. Pur restando fermo nello stesso luogo. Si potrebbe obiettare che il cinema contemporaneo ha giocato spesso e volentieri sulla figura dell’uomo bloccato su una mina, con poche o nulle speranze di salvezza: dal capolavoro di Danis Tanović, No Man’s Land, ad altri lungometraggi magari meno conosciuti ma drammaturgicamente robusti, potenti, come Landmine Goes Click del georgiano Levan Bakhia. Ma in Mine il talentuoso duo formato da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro ha saputo trovare un punto di vista originale sulla vicenda, coniugando peraltro la suspance insita in una situazione così estrema con qualche straniante divagazione dal sapore di volta in volta simbolico, allucinatorio e/o introspettivo.

Affinché il giochino funzionasse ci voleva anche, ovviamente, un attore che con la sua presenza scenica bucasse lo schermo: la scelta è caduta sull’americano Armie Hammer, reduce da successi come The Social Network e Nocturnal Animals. Nel difficile ruolo se l’è cavata egregiamente. Ad interfacciarsi col marine, lì nel deserto o nei numerosi flashback che lo ritraggono prima di partire per la missione, un piccolo stuolo di attori britannici altrettanto in parte. Da Tom Cullen ad Annabelle Wallis fino al “berbero” (uno dei personaggi più riusciti, bizzarro catalizzatore dei pochi ma efficaci siparietti umoristici) Clint Dyer.
Ambientato in gran parte tra le dune di Fuerteventura, alle Canarie, Mine si configura in primis come piccola lezione registica su come si possa tenere alta la tensione, concentrando l’azione in un dato luogo. Un po’ come era avvenuto in 127 ore di Danny Boyle, volendo. Qui, invece, il marine interpretato da Armie Hammer, ossia lo sfortunato Mike Stevens, deve tenere (letteralmente) la posizione affrontando a più riprese tempeste di sabbia, predatori notturni, nemici che sembrano apparire dal nulla e ricordi di vario genere, pronti a riemergere del passato. Soprattutto su questo versante dichiaratamente introspettivo il film osa parecchio. E anche se, in particolare nei dialoghi iniziali con l’altro soldato, si scade talvolta in qualche sintomatico accenno di retorica bellica o in approcci camerateschi un po’ stereotipati, l’ispirata regia di Fabio & Fabio e un montaggio accorto fanno sì che anche dal rapporto tra la fisicità della messa in scena (con l’aspro territorio e gli stessi agenti atmosferici a determinare una situazione da incubo) e la rocciosa volontà del protagonista, saldo nell’affrontare pericoli reali come anche fantasmi inerenti a un sofferto background personale, scaturiscano momenti di grande cinema.

Stefano Coccia

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