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Landmine Goes Click

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VOTO: 8

Mine vaganti

In ogni festival del fantastico che si rispetti, è possibile rintracciare anche quel film che magari si sottrae a troppo facili etichette di genere, che rimescola un po’ le carte in tavola, ma che al contempo può vantare una marcia in più, per originalità dello script e/o coraggio nella messa in scena. Per noi in questo 35° Fantafestival è il georgiano Landmine Goes Click l’autentica scheggia impazzita. Ma potremmo anche definirlo “mina vagante”, visto l’argomento…
La premessa del film può infatti ricordare, seppur da una prospettiva che si distanzierà sempre più strada facendo, il folgorante esordio cinematografico di Danis Tanovic, ovvero No Man’s Land. A parte la differente cornice geografica, qui rappresentata da quelle terre del Caucaso attraversate in tempi relativamente recenti da conflitti tra georgiani, russi e altre etnie, lo spunto di partenza ha una somiglianza notevole con quanto descritto dal cineasta balcanico, diversi anni prima: un uomo bloccato su una mina, impossibilitato quindi a spostarsi da lì, per non saltare in aria. Ma in Landmine Goes Click sia il modo in cui si è determinata l’assurda situazione, sia la piega che prenderanno successivamente gli eventi, divergono in modo netto.

Un po’ come accade in tante pellicole horror, è un terzetto di sprovveduti turisti americani a cacciarsi nei guai; stavolta per via di quel triangolo erotico, risoltosi malamente, da cui ha origine l’episodio della mina anti-uomo, concepito come un tragico “scherzo” e come vendetta sentimentale nei confronti di uno dei protagonisti. In questa fase iniziale i dialoghi tra i tre (presunti) amici, pieni di banalità e di sfottò rivolti alla rinascita della potenza militare russa, costituiscono già un accenno di chiara impronta satirica all’inadeguatezza dei personaggi, alla loro scarsa comprensione della realtà antropologica con cui si andranno presto a confrontare. E così l’arrivo di un “villain” sui generis, quel cacciatore georgiano dalla favella velenosa e dalle intenzioni decisamente ambigue, condurrà la già esplosiva (in tutti i sensi) situazione verso un gioco dai contorni particolarmente sadici, morbosi: praticamente lo stesso gioco del gatto, alle prese con un topo in trappola.

Insomma, il promettente regista georgiano Levan Bakhia, che si è avvalso qui di un cast internazionale ottimamente predisposto sia al dramma che a registri più farseschi, ha saputo appoggiarsi bene all’arguta sceneggiatura di Adrian Colussi (vera anima del lungometraggio), per dar vita a una specie di “survivor movie” caucasico dai contorni etici e narrativi alquanto insoliti, spiazzanti; il definirsi dei rapporti di forza tra i personaggi, con la mina o qualche altra minaccia sullo sfondo, ha un incedere che può ricordare i gelidi teoremi cinematografici di Haneke (in particolare Funny Games) come anche l’ironia di marca “pulp”, propria di certi dialoghi tarantiniani.
Ma è la svolta successiva, che vede trasformarsi Landmine Goes Click in un revenge movie malato, amarognolo e ben poco catartico tanto per il suo sciagurato protagonista che per lo spettatore, ciò che conferisce al film georgiano un’etica più profonda e disturbante. Quella stessa libertà, nel giocare col tema della vendetta, che avevamo trovato, volendo, in un film troppo spesso sottostimato come Solo Dio perdona di Nicolas Winding Refn.

Stefano Coccia

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